domenica 23 maggio 2010

Della merce più abbondante



Fin dalle civiltà più antiche, la forza-lavoro umana è stata la merce [*] più ricercata e mercanteggiata.  Senza di essa Atene e Sparta sarebbero ricordate come due modesti borghi della Grecia e nessun grande impero sarebbe nato. I Greci e i Romani conoscevano tale verità quale si palesava a loro nel modo più semplice e in ogni momento, senza infingimenti ideologici; un fatto che nessuno si sarebbe azzardato di revocare in dubbio pena il ridicolo: solo chi non è obbligato al lavoro coattivo è  un cittadino libero, solo coloro che non lavorano vivono. «O Meliboee, deus nobis haec otia fecit», dice Virgilio; Platone prevedeva pene severe per i cittadini che lavoravano (Repubblica, V) e Cicerone scriveva che chiunque offra il suo lavoro in cambio di denaro vende se stesso e si mette al livello degli schiavi (Dei doveri, I).
La proprietà fondiaria, in assenza della manodopera necessaria, non avrebbe avuto senso, compresi i grandi feudi ecclesiastici.
La stessa Venezia, che si vuole prospera grazie al commercio di manufatti e spezie, in realtà realizzò le basi del suo dominio, nei primi secoli, non solo grazie al monopolio del sale (imposto con le buone o con le cattive) ma soprattutto con il commercio di braccia “cristiane”, prelevate dalla Dalmazia ma anche dall’Italia meridionale e ovunque capitasse, vendute con gran profitto in Oriente. Non fu l’unica in questi traffici.
Sull’altro versante del Mediterraneo, le cosiddette orde barbaresche, in alcuni secoli, “trattarono” circa un milione di cristiani. Di contro, i sovrani spagnoli, per dire, quando occuparono Granada, inviarono al Papa un gentile omaggio di 500 prigionieri da adibire nella flotta pontificia o per usi domestici.
Il più grande e florido commercio nella storia dell’umanità è stato, indiscutibilmente, quello di carne umana. Il Nuovo Mondo di Colombo si sarebbe rivelato un fallimento senza lo sfruttamento delle immense terre vergini messa a coltura di canna, cotone, caffè, mais, frumento, ecc.. Schiavi neri, indios, cinesi, europei. Senza l’importazione di manodopera, l’America sarebbe rimasta poco più che un’opportunità mancata.
E anche la nostra grande civiltà industriale, senza la schiavitù salariata, non sarebbe stata possibile: «Lo schiavo romano era legato al suo proprietario da catene; l’operaio salariato lo è al suo da invisibili fili. L’apparenza della sua autonomia è mantenuta dal continuo mutare dei padroni individuali e dalla fictio juris del contratto (Il Capitale, I, cap. XXI)».

[*] Propriamente la forza-lavoro diventa merce nell'àmbito del processo produttivo di tipo capitalistico, ovvero quando essa viene scambiata con capitale. Tale distinzione, per le sue implicazioni, non è secondaria.

Nessun commento:

Posta un commento