domenica 1 maggio 2011

La scienza al servizio del potere


I sottomarini sono un prodotto dell’industria bellica del II conflitto mondiale, comparsi negli ultimi mesi di quel conflitto. Prima operavano delle imbarcazioni che di sottomarino avevano quasi solo il nome: si trattava di naviglio che all’occorrenza poteva immergersi ma la cui attività, per motivi tecnici, si svolgeva prevalentemente in superficie.

I motori diesel di cui erano dotati questi mezzi avevano bisogno di aria come comburente, e serviva anche per ricaricare le batterie elettriche necessarie per le brevi navigazioni in immersione. Navigando prevalentemente in superficie si assumevano tutti i rischi del caso. Approfittando dell’oscurità della notte, attaccavano navi e convogli nemici.

Dopo il lancio dei siluri, per sfuggire alle unità da guerra di scorta ai mercantili, gli U-boote s'immergevano e con i motori elettrici cercavano di allontanarsi dal contrattacco di superficie. Le incursioni a livello periscopio, care alla cinematografia, erano in realtà meno frequenti degli attacchi portati in emersione. L’attacco a navi nemiche non protette o non armate poteva avvenire anche con l’uso del cannone di bordo (88 mm).

Contro questo genere di mezzi nautici e la loro tattica furono adottate man mano contromisure che si rivelarono a un certo punto determinanti. Specialmente l’impiego di aerei a largo raggio d’azione poteva sorvegliare ampi tratti di mare individuando a vista e con il radar gli scafi degli U-boote, che navigavano in superficie o a livello periscopio alla velocità di circa 30 km/h.

Alla vista degli aerei nemici gli U-boote cercavano scampo immergendosi il più rapidamente possibile, ma spesso venivano raggiunti dagli aerei e dai loro ordigni di profondità (circa il 56% degli U-boote furono affondati in questo tipo d'azione), oppure la loro posizione veniva segnalata alle navi di scorta che con il sonar (ASDIC), sempre più perfezionato, scandagliavano il mare aprendo la caccia.

Insomma, vita dura poiché questi battelli in immersione non raggiungevano velocità superiori ai 13 km/h e con un’autonomia di circa un’ora (potevano però stazionare per oltre un giorno sott’acqua prima di riemergere per il ricambio d’aria necessario all’equipaggio).

L’introduzione del cosiddetto schnorchel, in pratica un tubo che immetteva aria nei motori diesel anche in immersione, non risolse il problema poiché tale sistema permetteva di navigare in immersione, ma quasi a pelo d’acqua e con non pochi problemi tecnici. Un sottomarino Typo VII o IX di problemi ne aveva frequentemente, come quando l’U-1206 (Typo VIIc) andò perduto per il cattivo uso della latrina!

Eppure una soluzione tecnicamente soddisfacente era a portata di mano già da molti anni. A impedire che venisse adottata, o comunque a ritardarne l'adozione, contribuirono diversi fattori e anzitutto il limite tecnico/culturale della classe dirigente nazista.

Una breve digressione: da questo punto di vista non deve trarre in inganno il fatto che nell’attacco terrestre alla Francia i tedeschi adottassero un nuovo concetto di organizzazione dei carri armati, con la creazione di unità corazzate indipendenti. Ciò fu merito di un gruppo ristretto di ufficiali (tra i quali Manstein e Guderian) che pianificarono la Blitzkriege e la tattica dell’accerchiamento fulmineo (Sichelschnitt) nonostante le resistenze, espresse anche a campagna in corso, da Hitler. Del resto anche i generali francesi, quanto a pigrizia intellettuale e idiosincrasia per le novità, non erano inferiori a nessuno. Disponevano di un numero maggiore di carri, ma li distribuirono lungo le linee, sparpagliandoli nelle formazioni di fanteria, come era già avvenuto, in tutt’altro contesto bellico, quando i carri furono impiegati come supporto negli ultimi tempi del primo conflitto mondiale. Torniamo agli U-boote e alle scelte strategiche e tattiche tedesche. La responsabilità sulle prime era di Hitler, quella sulle seconde prevalentemente di Karl Dönitz, l’ammiraglio a capo della flotta subacquea (Unterseewaffe).

La crisi economica degli anni Trenta e l’instabilità politica della repubblica di Weimar esercitarono sicuramente un peso nell’affermazione dei più intransigenti movimenti nazionalisti, segnatamente del nazismo. Ancor di più, almeno sotto certi aspetti, pesò la follia delle decisioni prese nel 1919 a Versailles, opera soprattutto di Poincaré, di Brand, di Clemanceau e “dei suoi amici e collaboratori ebrei” (in particolare il suo ministro delle finanze Klotz, “un uomo leggero e fatuo, che dopo le più varie vicende finì poi la vita come autore di reati fra il carcere e il manicomio, e fece con la sua leggerezza e la sua ignoranza come ministro gran danno”).

Con il trattato del 1919 i francesi farneticavano di dare alla Francia l’egemonia continentale, ma le velleitarie richieste di risarcimento danni, la sconsiderata spartizione territoriale, l’occupazione della Saar e della Ruhr (nell’interesse del Comité des Forges e degli industriali del ferro che disponevano della stampa, delle banche e dirigevano l’azione del governo), offrirono ai nazisti, cioè alla piccola borghesia agraria, all’aristocrazia sul lastrico, ai reduci sbandati e spostati, ai magnati dell’industria in crisi, non pochi argomenti decisivi per il successo della propaganda revanscista germanica.

Non meno foriere di disastri le chiacchiere wilsoniane sulla Polonia, che avrebbe dovuto costituirsi su territori abitati (a suo dire) da polacchi. Sulla questione polacca e di Danzica, ma anche quella dei Sudeti, poggiava la propaganda dell'estrema destra tedesca, ossia sul fatto che milioni di tedeschi vivevano fuori dai confini germanici. Riunirli alla Germania fu il programma politico e propagandistico vincente di Hitler.

Dopo l’attacco alla Polonia, per mesi, il dittatore tentò di giungere a un compromesso con la Gran Bretagna. Gli episodi sono noti e innumerevoli. Occorre ricordare, a proposito della guerra sottomarina indiscriminata, che Hitler non l’autorizzò fino alla primavera del 1940, e cioè dopo che si rese conto dell’indisponibilità dell’Inghilterra ad accettare una pace di compromesso.

Il Führer e lo stato maggiore tedesco non ritenevano di poter vincere l’Inghilterra sul mare e per aria. La decisione di invadere l’Urss con l’arma migliore che la Germania possedeva, ovvero con i carri armati, in un’operazione simile a quella condotta in Francia, appariva tutt’altro che irrazionale a prima vista.

Il piano d'invasione partiva dall’assunto che la Wehrmacht sarebbe stata in grado di concentrare grandi masse di soldati e mezzi corazzati in punti strategici puntando su una rapida vittoria terrestre a est che avrebbe poi indotto la Gran Bretagna (e gli Usa) a nuovi accordi di spartizione globale.

Dönitz, dal lato strategico e operativo, la vedeva diversamente e fin dall’inizio del conflitto aveva teorizzato che se i tedeschi fossero riusciti, attraverso un’offensiva subacquea sistematica, ad affondare un tonnellaggio di navi mercantili superiore a quello che i loro avversari erano in grado di allestire, l’Inghilterra sarebbe stata ridotta alla fame e avrebbe dovuto trattare la pace.

Tuttavia, come ebbe a scrivere dopo il conflitto, «né gli alti ufficiali della Kriegsmarine, né i dirigenti politici concessero la giusta attenzione agli U-boote, né li considerarono all’interno di un progetto di lungo periodo. Perciò non fornirono le risorse necessarie al momento giusto. Questa fu la tragedia della guerra sottomarina tedesca nella seconda guerra mondiale».

Il piano dell’ammiraglio tedesco si basava su concezioni tattiche che aveva maturato durante le sua esperienza di comandante di U-boot nel corso del conflitto precedente.

Gli U-boote avevano una velocità di superficie superiore a quella delle navi mercantili e tale da metterli in una posizione di vantaggio. Questa qualità doveva mettere i sottomarini in condizione di attaccare con successo, di notte, i convogli, attraversando in emersione e non visti la cortina delle unità di scorta per colpire da vicino i mercantili invece di attenderli nascosti sott’acqua, condizione nella quale la velocità del mezzo subacqueo si riduceva notevolmente. Tale manovra avrebbe avuto molte più probabilità di successo se condotta simultaneamente da più unità (branco di lupi).

Tale teorizzazione trovò conferma nei fatti. Nel settembre 1939, Dönitz disponeva di soli 49 U-boote, ridotti a 32 nel gennaio 1940, per risalire al numero di 46 in aprile. A luglio erano scesi di nuovo a soli 28, a ottobre erano 27 e appena 22 nel gennaio 1941.

Una forza esigua, tenuto anche conto che non più di un terzo delle unità in servizio poteva trovarsi in zona di operazioni, poiché una parte degli U-boote si trovava nel tragitto di andata o di rientro, mentre la restante aliquota si trovava negli scali di rifornimento e riparazione.

Se nel 1939, Dönitz avesse avuto nella Unterseewaffe i 233 sommergibili delle classi Typo VIIc e IX previsti dal Piano Z e avesse potuto utilizzare subito le basi in Francia e Norvegia, impiegando la tattica del branco di lupi, il corso della guerra sarebbe stato diverso.

Tuttavia i successi su larga scala non mancarono, nonostante l’esiguo numero di unità disponibili. Nei primi anni di guerra gli affondamenti di mercantili nemici furono migliaia, ma la Unterseewaffe stava lottando contro il tempo. L’entrata nel conflitto degli Usa, determinò una decisa svolta quantitativa e qualitativa: fra il 1941 e il 1944 gli Usa vararono 100 portaerei, trecento cacciatorpediniere e 30mila aerei.

La sconfitta tedesca fu segnata principalmente sul piano industriale e tecnologico.

Il massiccio controllo aereo condotto con velivoli a lungo raggio muniti di radar (soprattutto Liberator), la massiccia protezione ai convogli con navi di scorta dotate di sonar, il miglioramento degli ordigni di profondità, la decriptazione delle comunicazioni germaniche, resero la tattica dell’attacco di gruppo in superficie rischiosissima e complessivamente obsoleta, tanto che i sommergibili delle classi Typo VIIc e IX, nel 1943, persero la battaglia dell’Atlantico (e dei Caraibi) e furono costretti a restare ricoverati nelle loro basi.

C’era bisogno di un sottomarino di nuova concezione, cioè di un sottomarino vero e proprio il cui habitat naturale fosse la profondità del mare, veloce e silenzioso in modo da sottrarsi al più grave pericolo rappresentato dalla caccia aerea nemica. Con una propulsione indipendente dall'aria di superficie.

A tale scopo, da diversi anni, era stata progettata dall’ing. Hellmuth Walter una turbina a gas che utilizzava il perossido d’idrogeno (acqua ossigenata: H2O2) in una forma stabilizzata chiamata perhydrol, che avrebbe dato al mezzo subacqueo una velocità fino ad allora impossibile in immersione, cioè oltre 20 nodi.

L’innovazione non fu tenuta in debito conto dal comando della marina tedesca, dalla quale dipendeva l’Unterseewaffe di Dönitz, il quale nel 1937 se ne interessò e nel 1939 fu realizzato un prototipo di sottomarino chiamato V80 (80 t e 2.000 hp). I risultati del test, effettuato il 14 aprile 1940, furono sorprendenti. Il V80 raggiungeva i 23 nodi in immersione, una velocità che sarebbe stata superata solo dai successivi sottomarini nucleari.

La turbina Walter non si affidava a fonti esterne (aria) per produrre vapore, ma sfruttava la reazione di decomposizione chimica di un combustibile ricco di ossigeno e con ciò in grado di azionare la turbina stessa.

Il limite del motore a perossido era dato dalle enormi dimensioni che doveva avere il serbatoio di combustibile e la produzione del perossido stesso. Risulta che Walter avesse proposto un sistema di condensazione per la gestione del gas, ma in attesa di superare tali problemi tecnici si utilizzò lo scafo derivato dal progetto Walter con 4 grossi motori elettrici più silenziosi (che consentivano immersioni per molto più tempo degli U-boat in servizio) a una velocità di 17.2 nodi, e 2 motori diesel e tre grandi batterie.

Inoltre il nuovo sommergibile era dotato di sei tubi di lancio a prua e un ricambio siluri idraulico molto rapido (poteva lanciare tre salve da 6 siluri ciascuna in meno di 20 minuti). Una limitazione era data dalla notevole dislocazione del nuovo modello, che però poteva avvantaggiarsi dell’innovativa idrodinamica, il minor rumore e la più difficile sua individuazione.

Il sistema schnorchel permetteva a questo modello di navigare per molti giorni in immersione, un migliore sistema sonar attivo e passivo potenziava decisamente le capacità di esplorazione della dimensione subacquea, cioè di difesa e di lancio delle armi (anche alla cieca, da una profondità di 50 metri) e la torretta era molto diversa dalle precedenti, inoltre poteva raggiungere la profondità record di oltre 280 metri.

Insomma, il miglioramento del design e del sistema di propulsione per realizzare un sommergibile dalle caratteristiche molto più avanzate di quelli impiegati fino al 1943 non presentò gravi difficoltà, tuttavia perché prendesse avvio il nuovo modello denominato Typo XXI dovettero farsi pressanti le nuove esigenze tattiche d’impiego e venire abbandonate le vecchie concezioni.

La decisione di produrre il Typo XXI Elektroboat si dimostrò pertanto assai tardiva, e tuttavia la Germania fece fronte a un progetto così ambizioso in tempi ristretti e pur sotto il costante bombardamento dei propri cantieri.

Poco più di un centinaio di esemplari completeranno l’allestimento, ma solo due di essi anche l’iter addestrativo (U-2511 e U-3008) e solo l’U-2511 uscì per pochi giorni in mare, partendo da Bergen il 3 maggio 1945, quando Hitler era già morto e Berlino occupata.

Nel dopoguerra il design dell’U-boot XXI influenzerà lo sviluppo dei sottomarini moderni (compresi quelli atomici), ma per vedere realizzati dei sottomarini convenzionali secondo le concezioni propulsive elaborate da Walter si dovette attendere la realizzazione dell’U- 212A, e cioè il sottomarino italo-tedesco degli anni Duemila, in cui l’idrogeno solido e l’ossigeno liquido vengono fatti reagire per produrre energia elettrica.

PS: gli U-boote inviati in azione di combattimento furono 1.155, quelli distrutti 725, un buon numero dei quali alla prima missione. L’età media dei sommergibilisti era attorno ai vent’anni. I caduti furono 27.491, tra essi il figlio minore di Dönitz. Al termine del conflitto gli U-boote in navigazione erano ancora una cinquantina, l’ultimo (U-977) si consegnò nell’agosto 1945. Quelli in servizio nel Pacifico passarono in servizio alla marina imperiale nipponica. 

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