martedì 5 luglio 2011

«Li trovino, li arrestino»


Tutti coloro che in questi giorni hanno deprecato e stigmatizzato gli atti di “violenza” e di “terrorismo” dei quali si sarebbero resi “penalmente” (“tentato omicidio volontario”) colpevoli domenica scorsa i manifestanti in Val di Susa, partono dal presupposto che s’è lecito protestare non lo può essere in ogni caso il rivoltarsi contro l’ordine costituito. Questa bella gente non è disposta a darti un motivo di confutazione del punto di vista opposto neanche se gli argomenti fossero a buon mercato come le more. Essi sono contro la violenza senza se e neanche un ma.

Le forme di protesta avverse ai soprusi del potere devono condursi “pacifiche” e ordinate, salvo poi ricevere manganellate “a gratis” come molti fatti antichi e prossimi confermano. A lor signori serve la pace sociale per continuare ad asservirci in nome e per conto del “popolo sovrano” dal quale si sono fatti attribuire, con le astuzie e le frodi di sempre, il mandato a rappresentarlo.

Se per i preti il primo atto di violenza è il peccato originale, la disobbedienza a Dio, per gli ex stalinisti divenuti liberali il più grave atto di violenza è il mancato riconoscimento della priorità del Capitale di soggiogare anche l’ultima unghia di verde, di usucapire anche l’ultimo desiderio ancora in libertà. L’organizzazione statuale è chiamata a proteggere e garantire il rispetto delle “regole”, cioè il diritto legale dei capitalisti di fare ciò che vogliono, per esempio di non pagare per intero il valore del lavoro erogato dal lavoratore produttivo. Il non pensiero liberale presenta tale atto estorsivo, basato sul ricatto e su cui poggia il dominio dei padroni del mondo, come un portato “naturale” destinato a durare in eterno (*). Chi vi si oppone, chi non è disposto a collaborare alla sopravvivenza di un sistema che si mantiene a spese della vita di miliardi di umani, non è solo contro la legge, ma contro natura. È un violento, un terrorista, un alieno.

Gli ex comunisti che flirtano con i banchieri, fingono di dimenticare come la violenza degli sfruttati abbia nella società un'altra funzione, rivoluzionaria, e che essa, seguendo le parole di Marx, sia la levatrice della vecchia società gravida di una nuova, lo strumento con cui si compie il movimento della società, e che infrange forme politiche irrigidite e morte. Questi mantenuti, da lungo tempo hanno rinunciato anche in ipotesi di poter mutare radicalmente lo stato di cose presenti (se mai l’hanno avuto in animo) e si compiacciono di voler riformare gli orpelli dell’attuale schiavitù, della sola realtà economica che essi sono disposti a riconoscere come possibile. Essi non possono credere che la fine di questo impero economico non è la fine del mondo, ma la fine del suo dominio totalitario sul mondo.

(*) Un tempo la schiavitù rese possibile la divisione del lavoro tra agricoltura ed industria, quindi di raggiungere un livello considerevole di sviluppo economico e con ciò il fiorire del mondo antico, e cioè di quella civiltà senza le cui basi non esisterebbe l’Europa moderna e anche il resto. Viceversa la moderna schiavitù salariata non ha più ragion d’essere poiché, come scrive Engels, «l'enorme incremento delle forze produttive, raggiunto mediante la grande industria, permette di distribuire il lavoro fra tutti i membri della società senza eccezioni, e perciò di limitare il tempo di lavoro per ciascuno in tal misura che per tutti rimanga un tempo libero sufficiente per partecipare, sia teoricamente che praticamente, agli affari generali della società. Quindi solo oggi ogni classe dominante e sfruttatrice è diventata superflua, anzi è diventata un ostacolo allo sviluppo della società e solo ora essa sarà anche inesorabilmente eliminata, per quanto possa essere in possesso della "violenza immediata"».





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