venerdì 28 ottobre 2011

Il trionfo del tradeoff



Sapete cos’è “il trionfo del tradeoff” ? E contribuire al triage? Va meglio con il moral hazard, vero? Ma ora subiamo come tutta risposta l’impatto negativo di una balance sheet recession e di un deleveraging. Vi risparmio gli easing tutti frutti e robaccia del genere, entrata nel gergo di ogni sierotelevisivo che si rispetti. Rilassatevi, oggi è rally time. Parola di Phastidio, un sito che le cose le canta inglisc.

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Torniamo tra i comuni mortali, nel girone di quelli che alle quattro di stamattina, a Roma, dormivano in sacco a pelo davanti a un megastore di elettronica, pronti a varcarne la soglia non appena apre i battenti. Anzi, per l’affetto hanno rotto le vetrine. Non importa se avessero bisogno di delle merci, venivano a metà prezzo! A Napoli, invece, situazione più tranquilla, salvo la solita ressa per via dei biglietti della partita di calcio con relative cariche di polizia, ma in dosi omeopatiche. Fino a quando questa schizofrenia e continuo turbamento, questo pensiero abbagliato e reso stolto, graviterà intorno a noi, nessun discorso di cambiamento autentico sarà possibile.  

Intanto qualcuno ha pensato bene, data la distrazione degli acquirenti e il maltempo (com’è noto responsabile di morti e tragedie, un peccato non poterlo citare in tribunale), di cucinare le norme sui licenziamenti alla piastra. Che con tutta evidenza hanno a che fare con il debito pubblico e il famigerato spread, come ormai assicura anche la nonnina del piano di sotto scambiando pissi-pissi borsistiche con il fruttivendolo. Quindi si mette mano anche alle pensioni, e questo succede una volta l’anno e se ne parla almeno una volta a settimana, soprattutto di domenica, pena il crollo dell’euro e con esso di tutti i filistei. Magari.

«Si tratta di riforme coraggiose e occorrerà tutelare le fasce più deboli che saranno toccate da queste misure», sostiene il nuovo capo della Bce. Eh già, fare i coraggiosi col culo degli altri è uno sport che ci fa vincere sempre qualche medaglia. La letterina presentata da Berlusconi e firmata semplicemente “Silvio”, è stata accolta con favore. Che cazzo dovevano dire, se no? Ora è stato ordinato di togliercelo dai coglioni al più presto, non essendo più in grado di garantire il successo della sceneggiata. Ma c’è chi non ci sta ad andare a elezioni, per una questione di responsabilità (stipendio e vitalizio). Vedremo.

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Sono stati tre i grandi eventi del Novecento che hanno segnato la storia anzitutto dell’Europa. Il primo è costato almeno 13milioni di morti (672mila italiani) e 30milioni di feriti. Il secondo almeno 50milioni di morti, quasi la metà dell’Urss. Il terzo evento, meno cruento ma non meno decisivo, si è chiuso un ventennio or sono e s'è aperta una fase nuova, apparentemente, i cui esiti non sono ancora noti ed è difficile fare previsioni, ma non promette bene. Le élite dominanti dell'Unione europea stanno difendendo i loro interessi nazionali in modo sempre più aggressivo e la guerra valutaria e mediatica tra Usa e GB da un lato e UE dall’altro, è a un passo da una crisi di nervi. Per non parlare del resto.

giovedì 27 ottobre 2011

E non dite che sono pessimista



Nel 150° anniversario dell’Unità, scopriamo una cosa che era nota da tempo e che cioè non siamo considerati nei paesi del nord Europa null’altro che un’espressione geografica che necessita di tutela. La responsabilità di questo stato di cose ovviamente non è solo dovuta alla condizione di minorità politica e governativa di cui il paese dà incondizionata prova oggi o appena ieri. Credere questo, consola e quasi ci lusinga, ma serve a lasciare in ombra quelle che sono le colpe vere della borghesia italiana e della classe dirigente nel suo insieme, ma anche quelle di un popolino di troppi Pulcinella.

Dove lo trovi un altro paese in Europa dove siano accaduti negli ultimi decenni tanti e tali misfatti come in l’Italia e sulla cui responsabilità e complicità diretta e occulta non è mai stata fatta luce? Di quale credibilità vogliamo parlare? Di quella di una borghesia che ha messo al potere un uomo non solo ridicolo e vanesio (non il primo e non il solo), ma di aver lasciato che il suo stile diventasse quello di larga parte di una nazione d'idioti?

Ma al di là di questo, che è il tema di doglianze diffuso e abbastanza sterile, la nostra riflessione deve poi uscire dallo schema delle geremiadi d’ordine ideologico che galleggiano in superficie e invece guardare a ciò che è stata ridotta la democrazia in Italia e dappertutto il mercato, cioè il capitale, ha avuto bisogno di vendere qualunque cosa a chiunque. Qualche decennio addietro ci voleva un po’ di lucidità per decifrare il contesto reale e percepire i segni dell’avvenire, cioè del fallimento; ora che cominciano a pignorarci i mobili e gli immobili, l’usura dello spettacolo, le toppe di un’economia rappezzata, il ridicolo del potere, appaiono nella loro nuda realtà come nella nota favoletta e non c’è ormai nessun travestimento che valga a coprire uno stato permanente di disagio e di vergogna.

Eppure c’è ancora chi, con la solita falsa e birbante coscienza, sostiene che il gusto del distruggere, la sete di guadagno e di potere, la costante bassezza lucrativa, sarebbero parte della natura dell’uomo allo stesso titolo della sua capacità di creare la propria storia. E così le cause e le colpe del disumano sono fatte pesare sull’umano invece che sull’interesse di pochi che decidono a danno dei molti che patiscono, assolvendo sostanzialmente un sistema economico che ha bisogno di svalutare congiuntamente i valori spirituali e materiali per venderne sempre di “nuovi”.

mercoledì 26 ottobre 2011

Piove, ma non per tutti



La miseria non è la povertà, ma la mancanza di prospettiva, di futuro. Presi in castagna, i gerenti del potere politico hanno provato, con qualche successo, di metterci gli uni contro gli altri: i vecchi e i giovani, per dirla con il titolo di un bel romanzo (poco letto) di Pirandello. Il conflitto di classe in questo modo diventa chiacchiera sociologica: sono gli anziani che mangiano il futuro ai giovani. Non li vedete, belli pasciuti davanti alle gallerie d’arte in coda per quelle mostre messe in piedi per fare bigliettame?

Al solito, la realtà è ben diversa. Il capitalismo ha voluto illudere il proletariato dei paesi ricchi, nella temperie storica del dopoguerra. Il nostro è il migliore dei mondi possibili, stampando soldi ed elargendo credito a (quasi) tutti. Ecco creato il “benessere” illimitato. Ora, sconfitto l’impero del male, siamo entrati nella fase parsimoniosa perché l’impero del bene è prossimo alla bancarotta. L’ordine è contrarre la spesa pubblica fino a dosi omeopatiche, anzitutto in Italia, dove le pensioni medie e la spesa sociale sono già tra le più tirchie d’Europa.

Anni fa, al momento delle “riforme” pensionistiche, un clown della politica ebbe a vantarsi che il suo merito principale stava nello «sparigliamento» mediatico, cioè nella possibilità di utilizzarlo per ridurre anche consistentemente le prestazioni senza che ve ne fosse una diffusa consapevolezza. Passo dopo passo si è arrivati alle misure sull’innalzamento della vita media come fosse una colpa da espiare. Esaurita la vita produttiva si diventa solo un costo che va abbattuto.

È così che la crisi viene fatta ricadere, evocando sensi di colpa, su chi lavora e dopo una vita da schiavo riceve una pensione, se va bene, di 7-900 euro. È altrettanto naturale che con tali cifre cali la “propensione” alla spesa e conseguentemente anche la cazzo di “crescita” diventi più difficile. Tuttavia gli schiavi ai remi consentono ancora all’Italia di essere il secondo paese europeo per esportazioni (*).

Quindi il problema non sono le pensioni, ma come sempre la distribuzione della ricchezza. Messa in termini correnti, se Giuliano Amato becca al netto quanto venti pensionati medio-alti, è evidente che non ci sono troppe bocche ma solo bocche troppo grandi. Ma per quanto grandi, per quanto sprechino, non possono mangiare per venti. Perciò tesaurizzano, speculano, intrigano, ma non promuovono la “crescita”. E quindi la manfrina comincia daccapo.

Ma dove nasce tutta questa frenesia per il debito pubblico? Sono decenni che ha tale andamento, perché proprio ora tanto allarme? Per via dei mercati, dicono. E chi sono? I fondi pensione, per esempio. E chi ha in mano il mestolo? Oggi piove e la borsa va giù, domani pioverà di più e la borsa andrà su, dopodomani ci si regola sullo starnuto di Francoforte e New York. Suvvia, è un modo come un altro per succhiarci la vita e tenerci buoni con il terrore. La storia recente dell’Argentina, per esempio, lo dimostra.

Scommettiamo che se cade quel menagramo di B. la Borsa guadagna il 10% in tre giorni, effetto dello «sparigliamento» mediatico di cui sopra?


(*) Nonostante il governo, se si considera l'insieme del primo semestre 2011, le esportazioni superano le importazioni per 22,2 miliardi di euro, quando nello stesso periodo del 2010 il deficit era di 15,4 miliardi. Nel primo semestre 2011 le merci italiane vendute in Cina sono ancora in forte crescita (+23,4% in valore); nei primi sei mesi del 2011 le esportazioni italiane negli Stati Uniti sono cresciute del 22%, con l'Italia che guida in questo senso la classifica dei Paesi europei, insieme alla Germania. Le esportazioni di macchine italiane sono aumentate del 37% durante il primo trimestre del 2011, rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso, secondo l'Associazione dei Costruttori Italiani di Macchinario Tessile (ACIMIT).

martedì 25 ottobre 2011

Un primo passo, lavorare meno


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Il modo di produzione capitalistico ha manifestato chiaro e da sempre la natura del conflitto, la sua necessità di impoverire il lavoro per sopravvivere, per garantirsi una base decente di profitto. Svalutare il lavoro per tutelare il profitto è il leitmotiv che può essere colto nella sostanza di ogni discorso dei portavoce padronali.

Basterebbe questo, sul piano politico, per dire che la democrazia su queste basi economiche è un bluff. Comanda il capitale, le propaggini politiche obbediscono e le chiacchiere stanno a zero. Questa è la condizione che qualsiasi salariato sperimenta ogni giorno perché costretto dalla necessità a rinchiudersi nella prigione senza sbarre per almeno otto ore. Ed è lì che egli fa i conti con il tempo della propria vita che fugge e che nessuna lusinga pensionistica, peraltro sempre più incerta, potrà restituirgli da vecchio.

Da un secolo la giornata lavorativa è inchiodata a questa misura giornaliera media di sfruttamento nonostante gli enormi e strepitosi progressi della produzione sotto ogni riguardo e nonostante la massiccia disoccupazione e sottoccupazione specie nelle fasce più giovani del proletariato. Il vecchio slogan, lavorare tutti, lavorare meno, aveva indubbiamente una sua ragione. Irriderlo è servito a nulla, la realtà si prende la sua rivincita, sempre. Naturalmente non sarà sufficiente lavorare meno, ma cambiare il lavoro stesso e perciò con esso la natura dei rapporti sociali. Abbiamo oggi tutti i mezzi congrui per farlo. Perciò ogni idea in questo senso viene percepitata come pericolosissima, ridicolizzata, combattuta.

Il modo di produzione capitalistico ha dimostrato a dismisura che per garantire la sua riproduzione allargata è costretto alla finanziarizzazione spinta a livelli un tempo inimmaginabili. Una contraddizione quest’ultima indispensabile, ma ne minaccia la sopravvivenza e quella stabilità sociale tanto cara alle palinodie liberali. Queste cose e altre ancora, segnano il limite storico di questo sistema economico. Il migliore, dicono, a fronte di tutti gli altri.

Sarebbe un po’ come dire che la storia deve fermarsi qua, non deve andare oltre a causa del fallimentare tentativo di cambiamento sperimentato in alcune realtà e peraltro in determinate condizioni storiche nel secolo scorso. Le nuove generazioni, invece di interrogarsi su che cosa non ha funzionato e perché, semplicemente rinunciano a ogni tentativo di immaginare le traiettorie di uscita da questa trappola in cui ci troviamo coinvolti nostro malgrado.

Vogliono riformare questo sistema, a uso dei padroni, non cambiarlo. Poi, dopo un po’ i salariati si scoraggiano e molti, preso atto con cinismo della situazione, diventano semplicemente dei reazionari. Evidentemente che l’idea di cambiamento possa trasformarsi nel socialismo reale di memoria novecentesca li scoraggia in partenza. Non è casuale questo fatto, e non si può dire che la regia non sappia fare il proprio mestiere.  

domenica 23 ottobre 2011

La crescita dell'esproprio


La tenia, vale a dire il verme solitario. Mangi sempre di più per nutrire il parassita che ti divora dall’interno. La ormai ossessiva parola “crescita” è come l’azione della tenia. Viviamo in un sistema finito, non illimitato. Chi ha detto che non può esserci sviluppo senza “crescita”? I maggiordomi del capitale. È come sostenere che un organismo non può vivere senza iperalimentazione. Ma questa è per l’organismo causa di squilibri, di malattie, così come l’accumulazione di capitale, per se stessa, è la causa degli squilibri del sistema economico.

Per dirla in fretta, perciò al di là di quelli che sono i problemi strutturali del modo di produzione capitalistico e dei quali ho trattato in altre occasioni partendo della composizione organica del capitale, una delle manifestazioni più apparenti della crisi è costituita appunto dallo squilibrio tra domanda e offerta che rinvia al conflitto tra capitale e lavoro, quindi al grande spostamento di ricchezza, in corso specie negli ultimi decenni, dal lavoro al capitale, nel quadro di un’offensiva ideologica e politica su scala planetaria ed epicentro negli Usa.

Tale trasferimento di ricchezza ha un notevole e anzi decisivo impatto nella sfera della finanza. Infatti, la formazione di un’immensa massa sovrabbondante e vagante di capitale monetario in cerca di remunerazione, divenuta assai problematica nella sfera della produzione, si traduce nella conseguente speculazione nei mercati finanziari e nella deidustrializzazione nei settori più esposti alla concorrenza e alla caduta dei profitti.

Siamo in presenza, come già ebbi a osservare, di un sistema che falsifica lo scopo della produttività e dove la separazione della propria attività è anzitutto separazione dal proprio tempo, dove la confisca di questo costituisce la privazione della propria vita in un futile pseudo-ciclo che è solo discesa lineare verso l’inferno della schiavitù salariata, dell’anomia consumistica e dell’ipnosi spettacolare.

sabato 22 ottobre 2011

La legge è uguale, gli imputati no




C’è qualche anima bella che parla di regolamentazione. Cosa vuoi regolamentare quando le banche sanno creare dei prodotti sempre più sofisticati e i giocatori scommettono sui mercati dark pool? Sarebbe come parlare di etica e responsabilità a una gang di ladri. O di morale a un computer. I massimi responsabili della crisi finanziaria sono gli unici a trarre beneficio dal disastro e nessun irresponsabile di governo può dire: "basta, alle banche non daremo più un soldo". Il collasso delle banche significherebbe il fallimento del sistema.

Qualcuno ha mai sentito a tale proposito i faccendieri della politica parlare di ricatto e porre questa domanda: è compatibile con la democrazia? Con il concetto di democrazia ci vogliono far dimenticare le condizioni nelle quali i salariati sono costretti a vivere e produrre, le condizioni in cui è operata la loro espropriazione attraverso lo stato di necessità e l’inganno.

Poi ci sono le anime belle che sono contro la violenza. Quale, quella delle banche? Ormai le cose in un mondo capovolto non usa più chiamarle per quel che sono. Il manifestante che rompe una vetrina di una banca va in carcere dopo una buona dose di legnate, mentre un banchiere accusato di aver evaso il fisco per centinaia di milioni, cioè di aver truffato tutti noi, se ne va in giro a tenere conferenze sull’etica ed è probabile candidato alle elezioni.

È la legge, ma come solito dettata dal più forte a protezione della grande proprietà. Essa condanna chi distrugge per disperazione una vetrina ma condona il furto di somme ingenti a danno della collettività. Solo ai grandi proprietari è permesso fare delle proprie ricchezze ciò che vogliono mentre i salari e le pensioni sono saccheggiate a piacimento dal governo a garanzia dei profitti dei padroni del mondo.

Un altro esempio? Si è scoperta l’acqua calda, cioè che c’è una forte correlazione tra il tasso di delinquenza e quello di disoccupazione. Come la mettiamo, chi sono i veri delinquenti? Quelli che dicono che non ci sono soldi per la scuola, la ricerca, l’assistenza, lo sviluppo e però saccheggiano salari e pensioni per il salvataggio delle banche e il condono agli evasori, oppure chi scende in piazza e non si accontenta di passeggiarvi?

Questo mondo trae vantaggio anche dal saccheggio e dalle devastazioni di piazza (molto più limitati di quelli prodotti dalle multinazionali e dalla finanza) perché facilitano i guadagni di chi in tali distruzioni trova il proprio profitto, sia esso materiale o politico. Ciò che conta avviene all'interno delle banche, non fuori.

I danni materiali alle vetrine li pagano le assicurazioni e quelli politici li paghiamo tutti. La distruzione spettacolare della ricchezza finisce per essere funzionale al sistema della merce (basato sul consumo ma anche sulla distruzione delle merci, cioè sul loro ricambio accelerato e reso appetibile dalla “novità” del modello), così come l’atto violento di pochi finisce per essere funzionale alla logica di sopravvivenza del sistema politico quale garante dell’ordine costituito.

Come ho già scritto, l’unico vero autentico pericolo è che questa violenza di pochi e senza rappresentanza politica (e non mi riferisco a quella parlamentare soltanto, anzi) si trasformi in qualcos’altro. Non sarebbe il primo caso in cui un movimento di contestazione al sistema finisce per inchiodarsi per altre vie ad esso.

venerdì 21 ottobre 2011

La tirannia del petrolio



L’ultimo feticcio del suo potere è una pistola d’oro. Poteva usarla con più dignità. Ed invece è morto come un topo di fogna. Come meritava. Come meriterebbero in tanti che fino a pochi mesi fa gli stringevano e baciavano la mano al G20 e anche dopo, ossequienti. Tra questi spiccano i mandanti di quei sanculotti che ora gridano al cielo la propria gioia di proletari che sperano in un futuro di stipendio da piccoli despoti della “nuova democrazia in Libia” fondata sulle briciole che elargiranno le multinazionali del petrolio, le quali a loro volta si spartiranno, sotto controllo americano, le maggiori riserve dell'Africa.

La signora Clinton due giorni fa, da Tripoli, aveva chiesto un Gheddafi vivo o morto. Anzi, ha dichiarato all’Associated Press che “gli Stati Uniti vorrebbero vedere un Gheddafi morto”. È la stessa persona che ha assistito in diretta all’esecuzione di Osama bin Laden, come da mandato. A me queste cose fanno un certo effetto, mi ricordano altre epoche, ma questo non sembra essere un sentimento diffuso, meno che mai nei media.

Non mi spiace per il tiranno, ma è il vedere il diritto internazionale ancora una volta agito dai soliti “ladri di Bagdad” a volto scoperto, cosa che dovrebbe far riflettere su certi concetti quali la violenza, tirati come il chewingum dai media. Quante decine di migliaia di morti è costata questa guerra per il petrolio, questa commistione d’interessi economici e geostrategici in gran parte oscuri? È presto detto, un popolo diviso e massacrato, spogliato, la città di Sirte nella quale non c’è edificio che non porti i segni di questa guerra di rapina, una ricostruzione che si presenta difficile e con troppe incognite. Era meglio prima? Certo che no, ma è meglio adesso?

giovedì 20 ottobre 2011

Nella solita palude


Di marce e manifestazioni famose ce ne sono state molte negli ultimi decenni. Basta pensare alla nota marcia inventata da Aldo Capitini, la Perugia-Assisi; oppure alle famose e oceaniche manifestazioni contro la guerra in Vietnam, negli Usa e in Europa. Ma né la guerra fredda e nemmeno quelle del sud est asiatico ebbero fine a seguito di tali movimenti di massa.

Se provassimo a chiedere a Trichet, a Sarkozy o alla Merkel quanti fossero e chi fossero i manifestanti di sabato scorso a Roma, con ogni probabilità non saprebbero rispondere. L’unica cosa nota sono gli scontri tra i black bloc e la polizia. Se ai caroselli folli dei blindati si fossero opposti, oltre ai black bloc e altre minoranze di giovani, anche qualche migliaio di manifestanti “pacifici”, con ogni probabilità il messaggio sarebbe stato diverso, il governo forse sarebbe caduto e i partiti politici sarebbero spiazzati. Il bluff democratico avrebbe ricevuto un duro colpo. E invece siamo e restiamo nella solita palude.

La sinistra italiana che conosciamo è morta. Non lo ammettiamo perché si apre un vuoto che la vita politica quotidiana non ammette. Possiamo sempre consolarci con elezioni parziali o con una manifestazione rumorosa. Ma la sinistra rappresentativa, quercia rotta e margherita secca e ulivo senza tronco, è fuori scena. Non sono una opposizione e una alternativa e neppure una alternanza, per usare questo gergo. Hanno raggiunto un grado di subalternità e soggezione non solo alle politiche della destra ma al suo punto di vista e alla sua mentalità nel quadro internazionale e interno.

L’ultimo editoriale di Luigi Pintor, 2003. E diamo del fascista pure a lui? Lo so che questi discorsi non piacciono a molti, e cazzo mi stupirei del contrario dato il canaio mediatico. Tempo al tempo. Vorrei vedere se a qualche decina di migliaia di pubblici dipendenti riducessero lo stipendio del sessanta per cento e non pagassero la tredicesima ai pensionati. Da qualche parte sta già succedendo. De te fabula narratur.

mercoledì 19 ottobre 2011

Libia, il massacro della popolazione continua nel silenzio dei media


Qual è la situazione in Libia a distanza di otto mesi? Non ne parla più quasi nessuno. Intanto la città di Sirte viene distrutta dai cosiddetti ribelli e dai raid della Nato. “Block by block” dice la BBC. Sono impedite le forniture di cibo, medicine e altri generi di necessità. Non una voce si alza in occidente per denunciare quanto avvien ai danni della popolazione civile, la stessa che secondo la risoluzione Onu doveva essere protetta e garantita. Anzi, si registra da parte dei ribelli ogni sorta di saccheggio e di asportazione dei beni dei residenti.

Le atrocità commesse in Libia e quelle in corso a Sirte derivano direttamente dalla natura neo-coloniale dell’intervento stesso. Tutti i responsabili della guerra libica devrebbero essere accusati di crimini di guerra, a cominciare da Obama, Cameron e Sarkozy. Essi hanno fomentato e sostenuto una guerra di aggressione al pari di quelle scatenate dai gerarchi nazisti. La causa, lo sanno tutti, è il petrolio e il gas libici.

Quello stesso petrolio che Eugenio Scalfari, sì sempre lui, in un editoriale del 27 febbraio scorso definiva testualmente così:

«quello libico è uno dei peggiori per qualità».

Qui sotto le tabelle che dimostrano proprio l’opposto della tesi scalfariana. La prima dimostra che oltre il novanta per cento del petrolio libico è “light & sweet”, petrolio di alta qualità a basso tenore di zolfo, quindi petrolio di prima fascia.

[cliccare sul'immagine per ingrandire]

La seconda tabella dimostra che la Libia è il primo paese africano per riserve di petrolio e l’ottavo del pianeta, il che la dice lunga su questo conflitto.

Fonte: World Oil and Gas Review - 2010

Danni patrimoniali



Le ulteriori misure che il governo greco sta per varare su ordine del FMI e della Bce hanno provocato la proclamazione di 48 ore di sciopero generale. Il governo è ben consapevole che questa dichiarazione di guerra contro i salariati e i dipendenti statali non può essere effettuata senza opposizione di massa e richiede la repressione. Gli scioperi nelle ultime settimane hanno coinvolto anche i funzionari pubblici, gli addetti ai trasporti, i lavoratori portuali, insegnanti, operatori sanitari, giornalisti, bancari, avvocati, ufficiali giudiziari e funzionari doganali. Ad Atene ci si prepara a far intervenire l’esercito, le truppe speciali. 170 militari sono stati già assegnati per la guida dei camion della nettezza urbana e i lavoratori in sciopero sono stati precettati, tutti gli altri minacciati d’arresto e di multe. Il diritto di sciopero è carta straccia (come in Italia: quattro - otto ore una volta tanto, un comizietto e poi tutti al lavoro).
Un articolo del Financial Times di lunedì scorso esordiva così: «The degree of financial pain confronting the Greek population is twice as severe as that in Ireland and Portugal, fuelling concerns that the drastic austerity programme imposed by lenders could smother growth in the eurozone’s weakest economy». Tra gli interventi più osteggiati dagli aderenti allo sciopero, l'annuncio del governo il mese scorso di nuovi pesantissimi tagli che prevedono la riduzione degli stipendi del 60 per cento a circa 30mila impiegati, per la durata di un anno.
Invece di colpire le cause che hanno condotto alla situazione attuale (si calcola per esempio che i capitali dei ricchi greci all’estero ammontino a non meno di 600mld di euro), i burocrati della moneta stanno uccidendo il malato con continui salassi. Ecco cosa può produrre la “scienza” economica borghese e la relativa falsa coscienza al servizio dei grandi interessi. Di quanto possa succedere a livello sociale non interessa minimamente, i ricchi hanno dalla loro parte la stampa, la polizia e i vertici dell’esercito.
* * *
I giornali questa mattina danno l’EFSF, il cosiddetto fondo salva stati (in realtà salva banche), a mille miliardi. Il Guardian parla di accordo Francia-Germania (il duopolio che governa l’Europa) per duemila mld. La Borsa schizza in alto, poi viene la smentita da Francoforte e la Borsa torna indietro. Il solito giochino quotidiano che fa ancora più ricco sicuramente qualcuno. Comunque stiano ‘ste cose, non si tratta di soldi veri, ed è questo il punto, ma di denaro elettronico, di trasferimenti di denaro a debito, cioè virtuale, dagli Stati al fondo. Sembra poi che il fondo potrà utilizzare la leva finanziaria per dare maggiori garanzie agli obbligazionisti, siano essi privati o pubblici. L’EFSF diventerebbe in effetti un assicuratore del debito sovrano, un altro CDS (Credit Defautl Swap) su cui la speculazione si tufferebbe a capofitto. Non se ne esce.
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A proposito di danni patrimoniali causati dai black bloc, sentite questa che riguarda, di riflesso, anche i tassi di riferimento pagati sui mutui ipotecari dei nostri appartamenti: per le banche arriva anche l'accusa di aver manipolato l'Euribor, ovvero il tasso interbancario applicato ai prestiti che gli istituti erogano tra di loro. Le ispezioni hanno colpito diverse sedi, tra cui uffici di banche a Londra, in Francia e in Germania. Vuoi che le banche italiane siano escluse? Vedremo.

Le ispezioni, che come fa notare il Financial Times, non sono state annunciate, rientrano nell'ambito di indagini lanciate ieri a livello internazionale, che hanno per oggetto il modo in cui i maggiori istituti finanziari raggiungono accordi sui tassi relativi a strumenti denominati in euro, dollaro e yen. Si “ teme che le aziende violino le regole antitrust che vietano cartelli e pratiche anti-concorrenziali”.

martedì 18 ottobre 2011

Il codice clericale

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Il 19 luglio 1943 Mussolini è a Belluno, da dove è giunto in treno da Treviso assieme a Hitler (l’incontro è noto erroneamente come quello di Feltre (*) ). I colloqui che seguiranno in realtà sono dei monologhi dell’austriaco con “Mussolini seduto sul bordo della poltrona troppo ampia e profonda, ascoltava impassibile e paziente con le mani incrociate sulle gambe accavallate”. I pozzi petroliferi di Baku e la città simbolo di Stalingrado sono persi, il Nord Africa è in mano degli alleati che da pochi giorni sono sbarcati in Sicilia. Tuttavia la guerra continua, mancano quasi due anni alla sconfitta dell’Asse. Gli italiani sono al fronte o sfollati, comunque in guerra con lutti e gravi problemi di sussistenza. Intanto a Roma, in quelle ore, 362 bombardieri pesanti B17 e B24 e 300 bombardieri medi (146 B26 e 154 B25), scortati da 268 caccia Lighting, portano la morte a migliaia di persone. Di lì a poche settimane l’Italia intera sarebbe stata messa a ferro e fuoco, decine di migliaia di giovani e meno giovani sarebbero morti combattendo e nella guerra partigiana, o nei lager e di rappresaglia.


Tuttavia vi sono anche quelli che in quei frangenti trovano tempo e modo di riunirsi in un convento. A Camaldoli (si sta freschi in luglio) si riuniscono i cattolici, ovviamente, dato il luogo d’appuntamento. Non per pregare, bensì per vaticinare in un lungo programma le linee guida per la politica economica dell’Italia futura, quella che essi sono certi di governare. Un articolato in 99 punti, molto dettagliato, riproposizione in chiave formalmente plurale del sistema clerico-fascista con la sovrapposizione tra partito, strutture statali, enti pubblici e industrie di stato, burocrazie e benedizione papale.

Si parte da una Premessa sul Fondamento Spirituale della vita sociale. Si tratta del substrato ideologico che fa da sfondo ai capitoli sullo Stato, la Famiglia, l'Educazione, il Lavoro, Produzione e scambio, Attività economica e Vita Internazionale. Tutto con i capolettera in maiuscolo, ovviamente. In questo documento Chiesa e fede trovano naturalmente posto in modo peculiare.

Poiché la Chiesa rigenera gli uomini alla vita della Grazia nel tempo e li guida al pieno possesso di Dio nell'eternità, mentre lo stato mira a garantire agli uomini la tutela e lo sviluppo della loro terrena personalità, frequenti e necessarie relazioni si hanno fra la Chiesa e lo stato, perché in un medesimo territorio le due società reggono gli stessi soggetti e l'attività dei due poteri si estende su certi oggetti comuni.

Il rapporto è chiaro, il medesimo territorio anche, come pure i soggetti e gli oggetti comuni. Immutabili quindi i confini che delimitano l’universo dove si svolge lo scambio in cui si evolve la merce e si schiavizza la carne umana, nei due sensi, materiale e spirituale.

È verità assoluta, alla quale debbono essere riportati tutti i punti finora enunciati, che qualunque organizzazione di vita politica, qualunque escogitazione di forme di stato e qualunque partecipazione di cittadini alla vita dello stato, non vale a salvare l'umanità della vita sociale, se gli individui non sentono quelle esigenze di giustizia e di carità, le quali mentre attingono le più alte vette dello spirito umano, costituiscono la vita delle anime che credono in Cristo.

Fuori dalle balle i miscredenti o anche solo i laici.

E la famiglia? Unione una ed indissolubile, avente come fini oggettivi in primo luogo la procreazione e l'educazione della prole, e subordinatamente il mutuo aiuto ed il rimedio alla concupiscenza. Essendo l'uomo per sua colpa decaduto dalla primitiva dignità ed integrità ed avendone riportate ferite ed inclinazioni cattive, è errato affermare la sua bontà nativa e naturale.

Per redimere l’uomo non c’è altri che il magistero della Chiesa, al trancio e a piacimento, pagando la giusta cauzione agli dei in tonaca.

A Camaldoli sono presenti, tra gli altri, Ezio Vanoni, Mario Ferrari Aggradi, Paolo Emilio Taviani, Guido Gonella, Giuseppe Capograssi, Ferruccio Pergolesi, Vittore Branca, Giorgio La Pira, Aldo Moro, Giulio Andreotti, Giuseppe Medici.

(*) L'incontro avvenne a Villa Socchieva o Pagani-Gaggia, San Fermo, dimora estiva del senatore fascista Achille Gaggia che con Volpi e Cini, due alti gerarchi fascisti, sarà interprete del decollo industriale nel dopoguerra della Sade, poi divenuta Enel, quella del Vajont. In realtà questa villa, luogo dell’incontro tra i due dittatori, si trova a San Fermo, tra Belluno e Sedico, assai più distante da Feltre.

(**) Secondo l’agenzia di stampa Stefani “il Papa ha manifestato il proposito, qualora dovesse verificarsi un'altra aggressione aerea a Roma, il cui carattere sacro nettamente stabilito nei Patti lateranensi a suo tempo ufficialmente comunicati a tutti i governi che ne presero ufficialmente atto, deve essere fuori di discussione, di uscire dal Vaticano senza attendere la fine del bombardamento”. Il Papa era fortemente incazzato con gli alleati anche perché delle bombe avevano colpito il cimitero del Verano e danneggiato la tomba della famiglia Pacelli. Anche la tomba di Petrolini è danneggiata e pezzi del frack con il quale aveva voluto essare sepolto sono sparsi intorno.
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Il convitato di pietra



Quando il governo latita e il parlamento è ridotto al rango di una cassa per il sostentamento del clero laico, viene a determinarsi un vuoto di potere che altri corpi si sentono legittimati a occupare, a difesa dei propri interessi e anche per ambizione personale. Questo tipo di supplenza è stata posta in essere nel passato a opera di alcune componenti della magistratura, oppure della finanza e dell’economia, o del quarto potere, come nel caso attuale. Con l’espressione quarto potere non intendo riferirmi ai media, i quali non hanno potere autonomo, bensì, in senso più ordinativo che di effettiva importanza, intendo alludere allo strapotere del Vaticano, il convitato di pietra (ma mica tanto) della scena politica, economica e sociale italiana.

L’ingerenza vaticana non è una novità ma una costante persistente e del resto prevista e garantita dal recepimento dei trattati lateranensi in seno ai principi fondamentali e inalienabili della costituzione repubblicana. Un fatto questo tutt’altro che formale e che nemmeno in epoca regia e fascista era stato preso minimamente in considerazione. In sede storica oggi possiamo dire che il compromesso tra laici e cattolici con cui vennero a riconoscersi in costituzione i Patti, siglati da monarchia e fascismo con la chiesa cattolica, ha rappresentato uno dei momenti più bassi e vergognosi della resa delle forze sociali sedicenti progressiste agli interessi vaticani e della dirigenza cattolica.

L’ingerenza clericale, passati gli anni più crudi della guerra fredda, venuto il Concilio, aveva assunto un certo temperamento, quasi una sottile discrezione, fin quasi ad adombrare il sospetto che, almeno nel caso del referendum sul divorzio, il Vaticano si sia rassegnato a recitare una parte che sapeva minoritaria nel paese e soccombente in presenza di una nuova e più diffusa sensibilità laica su certi temi sociali. Lo ricordo bene, Fanfani e i suoi non ebbero l’appoggio forte, e del partito e della chiesa, così come ebbero ad auspicare.

L’ingerenza smaccata di cui dà prova in questi ultimi tempi l’alta gerarchia cattolica, ad opera peraltro di personaggi di minor caratura culturale rispetto ai loro predecessori, è dovuta in parte al fatto che la crisi politica ha aperto, come dicevo, delle possibilità che l'ambizione dei Richelieu e Mazzarino in sedicesimo non possono farsi sfuggire; ma soprattutto la chiamata a campana è in dipendenza del fatto che con la fine del berlusconismo si teme lo sfarinamento delle fila ultra-conservatrici, per cui la dirigenza vaticana vede minacciati, non già i propri privilegi, ma quella barriera alzata, anche con il sostegno di certe panze mediatiche, a difesa del suo medioevo ideologico. È anche per questo che Bersani non cessa di genuflettersi e baciare la pantofola, ma se l'operazione riesce farà la fine di Nenni e Togliatti. Ad maiòrem Dei gloriam.

lunedì 17 ottobre 2011

Bordeaux



Quando ti regalano del Bordeaux, poi sei in vena di confidenze e carinerie se sei un tipo tranquillo. Di facezie, per dirla alla Poggio Bracciolini. I vini francesi in gran parte non avrebbero nome se non fosse stato per l’apporto sincretico dei vini algerini e ora di quelli della trinacria. Tuttavia, come ebbe a dichiarare pubblicamente in vicolo Cannery il massimo intenditore di bottiglie alcoliche del secondo Novecento, Guy Debord, il vino non ha più il gusto del passaggio del tempo. È come un risotto che ha subito l’estetica di uno chef filosofo, soggiungo.

Come da protocollo di ogni blog che si rispetti, ho aggiunto al mio il cosiddetto blogroll, vale a dire i link di alcuni distillati che frequento. Quindi Malvino, perché dove lo trovi un altro così? Makkox e Lucas perché sono due poeti e, come diceva Marx in riferimento a Heine, ai poeti bisogna perdonare molto. Mi permetto di arrotondare: tutto. Poi Popinga, perché vorrei tanto sapere un terzo scarso delle cose che sa lui. Infine il sito del Governo, per rilassarmi.

Black block alla Philips, in borsa, dappertutto


La Philips annuncia 4.500 licenziamenti e la Borsa spicca il volo. Il Vaticano non ha parlato di «violenza che colpisce la sensibilità dei credenti». Evidentemente son cazzi loro, dei disoccupati, anche se credenti di obbedienza apostolica romana. Del resto, nessuno scrive commenti su internet contro queste minuzie, troppo occupati a dare dei fascisti ai black block, oppure a cercare spiegazioni nell’indole psichica piuttosto che nelle situazioni sociali concrete (la psicologia borghese vanta una consolidata tradizione in materia di esorcismi).

Un merito va riconosciuto a questa vituperata feccia gregaria: la manifestazione di sabato al massimo avrebbe resistito sulle prime pagine fino a ieri. Oggi invece se ne parla. Si dirà, si tratta delle violenze non delle motivazioni che hanno ispirato la  manifestazione. E delle motivazioni dei No questo e No quell’altro se ne sarebbe parlato per tre giorni? Ha avuto più rilievo la statuetta di gesso rotta che il ragazzo investito da un blindato.

Ma torniamo alla Borsa. Poi frau Merkel ha definito «un sogno impossibile» sperare che il prossimo meeting europeo possa portare a un accordo che risolva tutti i problemi della crisi del debito. Siccome l’affermazione non è parsa troppo teutonicamente perentoria, allora è intervenuto il ministro delle Finanza della Deutschland über alles, Wolfgang Schäuble, secondo cui il 23 ottobre non arriverà una decisione finale sul programma di salvataggio dell'Eurozona. Le borse prendono atto e scendono, perciò chi s’era affrettato a shortare e chi aveva puntato al ribasso torna a guadagnare (*).

* * *

La Corte di Giustizia Europea, con sentenza del 15 novembre 2001, ha condannato lo Stato Italiano per non aver recepito nel proprio ordinamento la direttiva 89/391/CEE in quanto il legislatore statuale non ha imposto al datore di lavoro di valutare tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori esistenti nel luogo di lavoro.

Naturalmente nessuna delle sacre figure istituzionali ha preso posizione, poiché il protocollo di palazzo prevede esternazioni solo sulla base di un minimo di 5 morti al giorno. Siamo solo a tre e mezzo.

Tutto nasce dalla petizione di un operaio metalmeccanico di Firenze, Marco Bazzoni. A novembre del 2009, a titolo individuale e senza organizzazioni alle spalle, ha scritto alla Commissione europea, convinto che il decreto Sacconi appena approvato violasse alcune disposizioni dell'Ue. La Commissione ha dichiarato ricevibile la petizione a marzo del 2010. Poi i tecnici che si occupano di affari sociali e lavoro per mesi hanno passato al setaccio il Testo Unico, parlando anche con i funzionari del ministero del Welfare. A settembre di quest'anno, è stata decisa "la costituzione in mora" contro l'Italia.

Nessun commento pervenuto da fonte sindacale. Del resto non s’erano accorti del decreto Sacconi, impegnati altrove.

(*) «short selling», ovvero vendite allo scoperto. In borsa si può fare di tutto, anche vendere azioni che non si hanno. Uno si fa prestare (a pagamento) le azioni che vuole vendere, le vende e aspetta che la quotazione del titolo si deprima. A quel punto riacquista le azioni, realizzando un capital gain e le restituisce a chi gli le ha prestate. L'operatore che fa questa manovra è definito «ribassista», cioè uno che guadagna puntando al ribasso.

Il marxismo è l'unica strada



I movimenti di massa che nell’ultimo periodo sono stati chiamati degli “indignati”, così come quelli precedenti dell’ultimo decennio che hanno preso i nomi più colorati, rispondono all’insoddisfazione che nasce spontaneamente contro questo sistema di cose, ma non sono animati da una prospettiva definita e perciò non riescono a trasformare la necessità di una resistenza collettiva in programma politico positivo. Non riescono perché temono giustamente le insidie della politica politicante e perché sono eredi di una sconfitta, di un lutto, che non hanno ancora nemmeno provato a elaborare. Questi movimenti hanno il destino segnato, cioè quello di diventare ostaggio dell’ideologia veicolata dai media e della violenza di piccoli gruppi estremisti.

L’impreparazione sul piano politico di questi movimenti è resa evidente dalla loro sostanziale indeterminatezza, dal non sapere effettivamente con chi stare e perché. Ci si pronuncia contro la finanza speculativa, le banche, le politiche di taglio dei bilanci statali, ma in genere non si dice: questo sistema basato sulla grande proprietà privata non solo non ci piace, ma non funziona e vogliamo togliercelo di torno. Già questo, in embrione, sarebbe un programma politico. Paradossalmente non siamo nemmeno a questo ed è facile intuire che tale stato di cose mascheri anche appetiti egoistici.

Troppo in fretta s’è buttato il marxismo come un ferro vecchio invece di comprenderne la portata rivoluzionaria ancora e sempre attuale, di rinnovarlo e adattarlo. Non c’è e non può esserci nulla che possa sostituirlo se non come surrogato, poiché il marxismo è l’unico approccio scientifico alla materia. Come scrive Lenin, o il marxismo o l’ideologia borghese, non c’è altra via. Perciò la borghesia s’affanna preventivamente con i suoi filosofi a rimasticare Marx sostanzialmente per falsificarlo e servirlo come un vecchio illuso che s’è sbagliato su tutto.

In definitiva il rischio più grave è rappresentato dal fatto che con il passare del tempo, rendendosi conto della loro impotenza, questi movimenti di massa, trasversali alle classi e ai ceti sociali, assumano la tendenza, già in atto, ad adattarsi a questo genere di spontaneità e di diventare strumento dell’opportunismo e del populismo. Troppe volte per il passato s’è assistito a questo scenario per non temere il peggio.