martedì 20 marzo 2012

Il progetto fascista che chiamano liberismo



Più volte nei miei post ho citato il patto postbellico tra capitale e lavoro, tra le rappresentanze padronali e quelle politiche e sindacali dei salariati, il quale ha garantito per alcuni decenni, sostanzialmente, la cosiddetta pace sociale e un certo tipo di sviluppo. Tale patto, pur nella sua valenza strategica e anzi proprio per questo motivo, trovava ispirazione ideologica, da parte dell’establishment di matrice cristiana e da parte dell’opposizione di matrice riformista, in un progetto di società basato su alcuni principi di universalità sostanzialmente condivisi, quali per esempio la solidarietà e il progresso su basi di una più equa, o meno ingiusta, redistribuzione.

Ieri sera, ascoltando su La7 Pierre Carniti, certamente non un massimalista (ex Cisl), ci si poteva chiedere, una volta di più, dove sono finiti invece oggi quei principi ispiratori, quel progetto. L’ex sindacalista, nel suo argomentare, sembrava appartenere appunto a quell’epoca ormai remota nella quale un'idea di società non solo fatta di sfruttamento selvaggio e di profitto, era nel comune senso delle cose e non ancora un’eresia.

Anche lo stesso modo di affrontare le questioni e i ragionamenti da parte di Carniti è lontano anni luce dai deliri dell'attuale propaganda neoliberista. Diceva, ad esempio: tra gli anni Cinquanta e Sessanta c’erano 3,5mln di contadini ed ex braccianti che non trovavano più collocazione produttiva; “che cosa dovevamo fare, mandarli in campi di rieducazione alla Pol Pot?”. L’ex sindacalista rispondeva in tali termini all’obiezione sollevata da uno dei tanti ingegni del neoliberismo, il quale aveva obiettato: perché dovremmo farci carico degli operai in cassa integrazione speciale? Già, cosa ne facciamo di questi operai e salariati senza prospettiva occupazionale, per tante ragioni ma non certo per loro colpa, e ai quali il periodo contributivo valido per la pensione è stato portato da 35 a 42 anni? Li spediamo in campi di rieducazione, ossia li abbandoniamo ai margini della società, al proprio destino di disperazione? È quello che ci si sta apprestando a fare, passo dopo passo, con le varie “riforme”, in primis quella del lavoro.

Avremmo bisogno, nella prospettiva immediata, di riforme del capitale e delle regole del suo agire, non di riforme delle poche tutele rimaste ai lavoratori. Riforme alle quali si oppone uno dei più pericolosi ideologi in circolazione, il quale scriveva domenica il proprio editoriale contro «i movimenti favorevoli ai "beni comuni"», indicati come avversari della «ragione», quella del profitto per il profitto e a qualunque costo, ovviamente. Quindi contro gli indecisi, gli indifferenti, soprattutto i “non votanti”. Non gliene può fregare un cazzo per chi votiamo, ma vuole che si voti. Per poi dire che agiscono in nome del popolo, della democrazia.

Quale progetto di società hanno in mente oggi questi propagandisti, i banchieri, gli speculatori, il personale politico a loro servizio? A Marchionne (un finanziere e non un industriale, cosa che non deve dimenticarsi) interessa solo un tipo di progetto sociale, quello di cui si fa promotore questo governo e l’insieme dell’attuale classe politica, e gli frega poco anche degli scioperi. Per un semplice motivo: può portare la produzione dove vuole e anzi dove costa meno e senza grane sindacali. Ecco l’origine dello scempio sociale attuale: aver dato mano libera al capitale di fare ciò che vuole. Ossia, come dice Monti: il diritto e il dovere di scegliere per i suoi investimenti e le localizzazioni più convenienti.

3 commenti:

  1. Grande. Grazie.
    Posso permettermi l'arbitrio di leggere, in tale post, una qualche minima speranza riformista?

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  2. Le localizzazioni piu' convenienti per il capitale non sono esclusivamente quelle a minore costo di manodopera. Dell'insediamento sono attentamente valutati anche, ovviamente, fattori diversi come il contesto storico, culturale e religioso, oltre quello naturalmente sociale. Una vera e propria complessa campagna di conquista ove gli obbiettivi sono diversificati e spesso opportunamente celati. Quelli che appaiono come amici a volte, nella realtà, non lo sono affatto ed i nemici possono tramutarsi in alleati. La competizione è forte come robusti sono i competitori: in palio al vincitore l'esercizio totale del potere; pena per il perdente il subirlo miseramente. Le aziende ed i paesi produttori di sistemi d'arma sono, in questo, esemplari. Si produce per vendere e fare profitti, ma non con qualsivoglia compratore. Il quadro geopolitico deve essere chiaro e compatibile con gli interessi superiori. Il nostro Paese ha, con ogni probabilità, perso la Fiat e con essa il controllo politico della produzione militare, che ad essa faceva capo, e conseguentemente le relative strategie di una politica estera autonoma che,piaccia o meno, su armi e denaro si fonda. Gli esempi possono essere numerosi e recenti cosiddette liberalizzazioni ce lo confermano: ad acquisire aziende nostrane di valore non eslusivamente economico sono immancabilmente imprese americane, tedesche, francesi supportate politicamente e finanziariamente dai loro Stati. Con buona pace del liberismo. In questo Marchionne è un moderno capitano di ventura al soldo di un Principe che si è mostrato piu' munifico e lungimirante. Ma da noi governano i valvassori.
    Conscrit

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