venerdì 30 marzo 2012

La “crescita negativa” e l'ultima uscita di Tremonti


Ieri, ascoltando il gierretre, ho sentito la voce del ministro Passera affermare testualmente che l’Italia è in “crescita negativa”. Mi è venuto in mente un episodio effettivamente accaduto durante la guerra di Corea quando, a seguito di una controffensiva nordcoreana, un generalone americano diramò un comunicato ove si affermava che le truppe americane stavano “avanzando in direzione opposta al nemico”.

* * *

Ho incominciato a leggere, in prestito bibliotecario, il libro Uscita di sicurezza di Giulio Tremonti. Dopo un centinaio di righe (tre pagine e mezza), non ho più voglia di continuare e non so quindi se leggerò il libro. Faccio un paio di esempi: alla terza pagina (pag. 9) Tremonti scrive che a seguito della globalizzazione:

“ha preso forma e forza un nuovo tipo di capitalismo. Non, come in Marx, un capitalismo chiuso nella dialettica e nel conflitto tra il capitale costante e il capitale variabile, il primo fatto dalla somma dei mezi di produzione e di circolazione delle merci + il capitale circolante, e il secondo costituito dalla forza lavoro”.

Tremonti chiarisce subito cosa intende per “capitale circolante”:

“A sorpresa, a partire dalla globalizzazione, in questa nuova e contemporanea storia, il nucleo finanziario iniziale del capitale circolante, trovando prima nella globalizzazione e poi nella Rete il suo luogo naturale di evoluzione ed espansione, ha infatti in progressione accumulato in sé tanta forza …”.

Da qui si capisce subito che Tremonti non solo non ha letto il Capitale ma non l’ha mai sfogliato. Egli non sa esattamente cosa sia il capitale costante e intende per capitale circolante il capitale monetario, ossia il denaro. Scrive Marx nel cap. 22 del I Libro:

«Ricordo qui al lettore che le categorie capitale variabile e capitale costante sono io il primo a usarle. L’economia politica mescola alla rinfusa, da A. Smith in poi, le definizioni contenute in quelle categorie con le differenze formali di capitale fisso e capitale circolante che derivano dal processo di circolazione».

Marx distingue (cap. 6 del I Libro) nel capitale due parti: capitale costante e capitale variabile. E fin qui deve averlo orecchiato anche l’ex ministro dell’economia. Ciò che non ha ben chiaro è che:

capitale costante è: la parte del capitale che si converte in mezzi di produzione, cioè in materia prima, materiali ausiliari e mezzi di lavoro, e che non cambia la propria grandezza di valore nel processo di produzione;
capitale variabile è: la parte del capitale convertita in forza-lavoro, che cambia il proprio valore nel processo di produzione e che riproduce il proprio equivalente e inoltre produce un'eccedenza, il plusvalore.

Questi due fattori partecipano in modo diverso alla formazione del valore del prodotto e, pur essendo entrambi necessari, solo uno è fonte di valore.

Il valore del capitale costante si conserva mediante il suo trsformarsi in prodotto e cioè riappare soltanto nel valore dei prodotti senza aggiungervi alcunché. Ciò che trasmette al prodotto è ciò che perde “nel processo lavorativo attraverso la distruzione del proprio valore d’uso”.

Il valore del capitale variabile, mentre dal lato del suo specifico carattere utile, “col suo semplice contatto, risveglia dal regno dei morti i mezzi di produzione, li anima a fattori del processo lavorativo”, in quanto forza-lavoro astratta, tempo di lavoro protratto oltre il punto della riproduzione del suo valore, crea un valore eccedente. Che perfino Tremonti sa che si chiama plusvalore. “Questo plusvalore costituisce l'eccedenza del valore del prodotto sul valore dei fattori del prodotto consumati, cioè dei mezzi di produzione e della forza lavoro” (Marx).

Quanto al capitale circolante, a cui allude l’ex ministro, Marx, nel II Libro, cap. 10 e 11, passa in rassegna le teorie borghesi su capitale fisso e circolante. Non sto qui a riproporle. Interessante però, dopo aver esposto tali teorie, è questo suo giudizio sintetico, poiché rivela a quale scopo la borghesia tende a confondere le diverse categorie di capitale:

Si comprende perciò perché l’economia politica borghese per istinto si attenesse strettamente alla confusione di Smith tra le categorie «capitale costante e variabile» e le categorie «capitale fisso e circolante», e per un secolo, di generazione in generazione, la ripetesse pappagallescamente e in modo acritico. Per essa, la parte di capitale sborsata in salario non si distingue più dalla parte di capitale sborsata in materia prima, e si distingue solo formalmente dal capitale costante, sia che esso venga fatto circolare pezzo per pezzo o interamente, attraverso il prodotto. Con ciò è seppellito d’un colpo il fondamento per la comprensione del movimento reale della produzione capitalistica, e perciò dello sfruttamento capitalistico.

Chissà cosa direbbe Tremonti se gli si rivelasse che per Marx il capitale variabile, cioè la forza lavoro, rientra nella categoria del capitale circolante (ovviamente non nell’accezione tremontiana di capitale finanziario), anzi è capitale circolate, mentre non tutto il capitale costante è capitale circolante, ma si divide in fisso e circolante (*)? Per un semplice motivo, così come sottolinea Marx:

Le determinazioni di forma di capitale fisso e circolante scaturiscono soltanto dalla differente rotazione del valore-capitale che opera nel processo di produzione, ossia del capitale produttivo. Questa differenza della rotazione scaturisce a sua volta dal differente modo con cui le differenti parti costitutive del capitale produttivo trasferiscono il loro valore nel prodotto, ma non dalla loro differente partecipazione alla produzione del valore del prodotto o dal loro caratteristico comportamento nel processo di valorizzazione (Libro II, cap. 8). Il brano poi prosegue coe in nta (**).

Il secondo esempio che almeno per questa sera mi ha fatto chiudere il libro di Tremonti, riguarda questa frase:

Alla base del mercato finanziario, c’è l’ideologia potente e dominante che tende ad azzerare la parte migliore della natura umana […] Solo alcuni veri credenti lo umanizzano […].

Cosa c’è di serio e scientifico in un libro così mediocremente idealista?
 
(*) «La parte di valore del capitale produttivo anticipata in forza-lavoro passa dunque interamente nel prodotto (continuiamo a prescindere qui dal plusvalore), compie con esso ambedue le metamorfosi appartenenti alla sfera della circolazione e mediante questo costante rinnovo rimane sempre incorporata nel processo di produzione. Sebbene per il resto, dunque, la forza-lavoro si comporti, nella formazione di valore, diversamente dalle parti costitutive del capitale costante che non costituiscono capitale fisso, ha in comune con esse questo modo della rotazione del suo valore, contrariamente al capitale fisso. Queste parti costitutive. del capitale produttivo — le sue parti di valore sborsate in forza-lavoro e in mezzi di produzione che non costituiscono capitale fisso — per questo loro carattere comune della rotazione stanno dunque di fronte al capitale fisso come capitale circolante o fluido» (II, cap. 8).

(**) La differenza nella cessione del valore al prodotto, infine — e perciò anche il differente modo con cui questo valore viene fatto circolare per mezzo del prodotto, e, mediante le metamorfosi di questo, viene rinnovato nella sua originaria forma naturale — scaturisce dalla differenza delle forme materiali nelle quali esiste il capitale produttivo, e di cui una parte viene consumata per intero durar la formazione del singolo prodotto, un’altra viene consumata solo gradatamente. Soltanto il capitale produttivo, quindi, può scindersi in capitale fisso e circolante. Invece questa contrapposizione non esiste per ambedue gli altri modi di essere del capitale industriale, non esiste cioè né per il capitale-merce né per il capitale monetario, né come Contrapposizione fra questi due e il capitale produttivo. Essa esiste soltanto per il capitale produttivo e all’interno dello stesso. Per quanto capitale monetario e capitale-merce operino come capitale, e per quanto circolino fluidamente, possono diventare capitale circolante in contrapposizione con quello fisso soltanto quando si siano trasformati in parti costitutive circolanti del capitale produttivo. Ma poiché ambedue queste forme del capitale dimorano nella sfera della circolazione, fin da A. Smith, come vedremo, l’economia si è lasciata fuorviare fino a metterle in un sol fascio con la parte circolante del capitale produttivo, sotto la categoria di capitale circolante. Di fatto, essi sono capitale di circolazione, in contrapposizione a capitale produttivo, ma non sono capitale circolante in contrapposizione a capitale fisso.

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