giovedì 22 marzo 2012

Piazza Fontana, il depistaggio continua sui giornali


Quella di riscrivere la storia è una tentazione e una lusinga che ha radici antiche quanto la scrittura. Eugenio Scalfari nel suo articolo di oggi non vuole riscrivere o stupire nessun buon borghese con rivelazioni e interpretazioni di nuovo conio sugli anni della cosiddetta “strategia della tensione”, ma punta invece a confermare e rafforzare la versione dominante. Prima ancora di falsare la storia egli vuole perciò coltivare il luogo comune di una verità ignota, di una strage senza paternità, di misteri mai totalmente diradati, tanto che si spinge a scrivere: “Forse l'Europa, forse l'esperimento del governo Monti, forse Giorgio Napolitano, riusciranno a purificare l'aria ammorbata che ancora ci opprime. Forse il nocciolo duro delle complicità sarà portato alla luce”.

L’occasione per un’operazione nella quale non c’è rispetto soprattutto per le vittime di quella strage e di quella tragica stagione, gli è offerta da un film del regista Marco Tullio Giordana sulla strage di piazza Fontana. Scrive, per esempio, a proposito dell’arresto e della morte di Giuseppe Pinelli:

Pinelli è digiuno da trenta ore, non gli danno nemmeno l'acqua da bere, il volto è stravolto dalla stanchezza, gli occhi di tanto in tanto si chiudono e i poliziotti lo risvegliano a suon di ceffoni. Solo il commissario Calabresi che partecipa all'interrogatorio cerca di riportare i suoi uomini alla calma e ad un minimo di equità ma non sempre ci riesce, loro sono furibondi perché le trenta ore d'interrogatorio pesano anche sui loro volti e sulle loro gambe. A un certo punto Calabresi è chiamato dal Questore e lascia la stanza. Allora i poliziotti si scatenano, spintonano Pinelli, lo trascinano verso la finestra. La macchina da presa si sposta su Calabresi che sta discutendo col Questore e sente all'improvviso un tonfo proveniente dal cortile. Come presago si slancia verso la stanza dell'interrogatorio e vede i suoi uomini alla ringhiera della finestra e il corpo di Pinelli sfracellato sui ciottoli del cortile.

Dunque Scalfari sposa la tesi del film: Calabresi è un poliziotto pacato e quando Pinelli viene precipitato dalla finestra si trova in un’altra stanza, al telefono. La tesi del film è la versione ufficiale del Calabresi. E del resto, oggi, perché ricordare ciò che tutti i muri e le piazze d’Italia sapevano e gridavano allora?

Parte da lontano Scalfari per arrivare a quegli anni, riassume il secolo, lungo e non breve secondo lui: “Cominciò con le cannonate di Bava Beccaris contro i socialisti e gli anarchici milanesi (1898)”. Non è vero che il generale fece sparare solo contro “socialisti e anarchici milanesi”. La protesta, detta “dello stomaco”, divampava in Italia a causa dell’aumento del costo del pane. A Milano la polizia s’infiltrò tra gli operai sobillandoli. Ci furono poi degli arresti e a causa di questi una manifestazione davanti alla caserma della questura. Per rompere l’accerchiamento la polizia sparò e uccise due operai ferendone altri. Il giorno dopo “un'imponente massa di popolazione, appartenente alle più varie categorie, dalle tabacchine ai tramvieri”, manifestò per le vie della città. La polizia sparò e ci furono varie vittime. Il giorno successivo il macellaio Bava ordinò di sparare con i cannoni, fatto che provocò la morte di un centinaio di persone e il ferimento di un altro mezzo migliaio. Il giorno dopo ancora, il 9 maggio, l’artiglieria sparò anche sul convento dei cappuccini all’interno del quale si erano rifugiati numerosi manifestanti, provocando anche qui alcuni morti.

Come si vede la strategia della tensione ha padri “illustri” e lontani. Il paradigma di tale strategia fu raggiunto dal fascismo al suo avvento. Un regime al quale Scalfari ha aderito, orgoglioso della sua camicia nera e dei pantaloni a sbuffo alto, salvo poi prenderne distanza al suo tramonto, come del resto fecero moltissimi altri. Abbracciò il liberalismo, che invero aveva sempre avuto nel cuore, e passa per un intellettuale di “sinistra”.

Venendo agli anni della strage di piazza Fontana e della strategia della tensione, Scalfari omette di citare troppe cose, ma una essenzialmente. Scrive:

La strategia della tensione è stata purtroppo una presenza dominante nella seconda metà del secolo scorso. La si può descrivere con una figura geometrica, un triangolo retto, due cateti e un'ipotenusa che li unisce. E se vogliamo animare la geometria con la carne e il sangue delle persone, ci furono un'estrema destra e un'estrema sinistra che si contrapponevano usando i mezzi illegali della violenza, delle armi, delle bombe, dei complotti e delle stragi; e c'è un'altra forza che aizza la destra e la sinistra affinché la violenza esploda, organizza misteriosi provocatori, finanzia operazioni clandestine, corrompe e usa le istituzioni dello Stato per alimentare il disordine anziché controllarlo e spegnerlo.

Questa è una falsità spudorata. L’”altra forza”, cui Scalfari allude, non è esterna allo Stato, ma usa lo Stato e il terrorismo. È la stessa borghesia che affronta la minaccia “sovversiva” nel modo più congeniale: con la violenza dell’ideologia e l’ideologia della violenza. Fu la borghesia italiana a incaricare le fazioni interne e parallele dello Stato di rispondere sul terreno della violenza al movimento sociale che chiedeva cambiamenti radicali. Scalfari lo chiama “lo Stato deviato”. Ma di quale deviazione parla? I servizi segreti intrecciati a doppio filo con la Cia, il ministero degli Interni, Gladio, la P2, rappresentavano a tutti gli effetti i gangli vitali delle Stato ai quali è sempre stata data copertura politica.

I responsabili del gigantesco depistaggio che fu preordinato per incastrare gli anarchici e in seguito per proteggere i responsabili della strage, hanno nomi e cognomi noti da decenni e scritti nelle carte processuali. Se non ci fossero stati quei depistaggi e quelle coperture, Freda e Ventura non sarebbero a piede libero. Quanto si è impegnato in anni recenti lo Stato nel chiedere al Giappone la consegna di Delfo Zorzi? Se gli studenti di oggi ignorano chi sia stato Valpreda, che Scalfari non cita, e attribuiscono la strage di piazza Fontana alle Brigate rosse, una qualche responsabilità in capo alla cosiddetta informazione il grande direttore non la vede?

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