domenica 20 gennaio 2013

Un Oskar per Hitler


È normale che in un continente la nazione più vasta, popolosa, economicamente sviluppata e socialmente progredita assuma un ruolo guida, tanto più se tale si dimostra la volontà e la determinazione delle sue classi dirigenti e le circostanze storiche si presentano a ciò favorevoli. È questo il caso della Germania odierna in Europa, lo dimostra il ruolo decisivo che essa assume in tutte le decisioni che riguardano la UE. In tale prospettiva c'è dunque da ragionare sull’ineguale sviluppo dei paesi europei, sul processo di profonda ristrutturazione in atto, quindi sulla centralizzazione dei poteri riguardanti la moneta unica e tra l’altro sulla recente costituzione di un’unione bancaria europea, eccetera. Il tutto nella cornice della grande contesa mondiale dei capitali e dei poteri politici che li rappresentano, ossia, dal punto di vista delle evidenze politiche, della crisi delle relazioni globali che si va approfondendo. Tutti temi molto vasti e assi complessi che troveranno sicuramente ampio risalto su twitter e dintorni. Per quanto mi riguarda, solo un cenno: sta nella percezione comune di questa crisi, per dirla in una battuta, che il consumo a debito e il relativo circuito di flussi della spesa pubblica non è più sostenibile come un tempo e dal momento che le aree di produzione della ricchezza non sono più le stesse. In attesa dell’agognata unione fiscale della zona euro e soprattutto che i livelli di spesa e di parassitismo delle nuove potenze economiche si avvicinino ai nostri, soprattutto per legittimare la tesi dei “vasi comunicati” sostenuta da certi ideologi borghesi, si prenda atto almeno del fatto che la “crisi della democrazia” in Occidente ha a che fare essenzialmente e direttamente con le contraddizioni del ciclo capitalista.

Ripropongo – con lievi modifiche – uno dei primi post scritti per il blog, nel quale è descritta una situazione politica, un caso storico, di cui cade l’80° anniversario in questo mese di gennaio e che, apparentemente, non c’entra nulla con la premessa di cui sopra. Buona lettura.

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Bahnhof Zoo di Berlino. È l’alba del 30 gennaio 1933, cielo color piombo ma non nevica. Al terzo binario è in arrivo un treno che per tutta la notte e parte del giorno prima ha attraversato da sud a nord la Germania. In uno scompartimento riservato di una carrozza di prima classe trovano posto il generale Werner von Blomberg e il suo aiutante di campo, colonnello Walter von Reichenau. Sono partiti da Ginevra, dove il generale rappresenta la Germania alla conferenza per il disarmo. Indossa un cappotto privo di martingala e con collo in pelliccia. Il colonnello è già nel corridoio del vagone e sta scrutando dal finestrino due ufficiali superiori in attesa sulla banchina.

I viaggiatori scesi dal treno sono raggiunti dai due ufficiali che scattando nel saluto militare. Il primo ufficiale è il colonnello Oskar Hindenburg, aiutante di campo del padre, il presidente della Repubblica, feldmaresciallo Paul Ludwig Hindenburg; l’altro ufficiale, è il maggiore von Kuntzen, aiutante di campo del generale Hammerstein-Equord, comandante in capo dell’esercito. Il generale Blomberg è atteso dal presidente, convocato d’urgenza, e il colonnello Hindenburg gli farà strada. Anche il maggiore von Kuntzen invita Blomberg a seguirlo, gli vuole parlare il capo dell’esercito, Hammerstein. Dopo un momento di comprensibile imbarazzo, Werner von Blomberg decide di salire nell’auto del colonnello Oskar Hindenburg, per dirigersi verso il luogo dell’incontro con il presidente della Repubblica, in Wilhelmstrße, 73.

Il 15 gennaio, Kurt von Schuschnigg, allora ministro austriaco della Giustizia, in visita dal cancelliere Schleicher, assicurò che «il signor Hitler ha cessato di costituire un problema, il suo movimento non rappresenta più un pericolo politico, tutta la questione è risolta, non è più che una cosa del passato». Quello che il ministro austriaco forse non sapeva, ma di cui Schleicher era abbastanza avvertito, è che per tutto il mese di gennaio von Papen e la lobby agraria e gli elementi più aggressivi delle forze armate si erano dati un gran daffare per convincere Hindenburg a dimissionare Schleicher ed ad aprire la porta ad un esecutivo Hitler-Papen, nella convinzione di poter poi manovrare a piacimento il capo del NSDAP. Da ultimo, a far pressione, si era aggiunto anche Oskar, il figlio del presidente.

Due giorni prima dell’arrivo di von Blomberg al palazzo presidenziale, il generale Schleicher aveva rassegnato le proprie dimissioni nelle mani del presidente Hindenburg. Già alcuni giorni prima, il 23 gennaio, in una precedente visita, aveva comunicato all’ottuagenario feldmaresciallo di non essere riuscito a formare una maggioranza e pertanto invocava poteri d’emergenza per governare mediante decreti, in base all’art. 48 della Costituzione. Questa insistenza per ottenere i poteri d’emergenza, collegata con la proposta di provvedimenti contro lo scandalo degli “aiuti orientali”, irritava il presidente. Sarebbero bastati un paio di mesi, quindi la convocazione di nuove elezioni (che a quel punto i nazisti, vista la loro situazione, esplicitamente temevano) e le previsioni del ministro austriaco della Giustizia, così come quelle di tutti gli altri osservatori, si sarebbero avverate. A quel punto sarebbe sortita dalle urne una situazione nuova, in cui sarebbe stata possibile una coalizione tra moderati di centro e di sinistra.

Hindenburg si rifiutò di accordare pieni poteri a Schleicher, Papen e la camarilla di palazzo gli avevano assicurato che con un governo dove lo stesso Papen fosse stato vicecancelliere del Reich e primo ministro della Prussia, quindi in un gabinetto con il NSDAP in netta minoranza, Hitler in qualità di cancelliere si sarebbe potuto cavalcare e manovrare a piacimento. Hindenburg accettò e pose la condizione che Hitler nelle sue visite alla presidenza fosse sempre accompagnato da von Papen. Congedando Schleicher, Hindenburg gli aveva detto: «Ho già un piede nella tomba e non sono certo che in seguito, in cielo, non rimpiangerò una simile azione». Schleicher, abbattuto e disilluso, gli rispose: «Non sono certo, signore, che dopo questo tradimento voi andrete in cielo».

La borghesia e gli agrari tedeschi volevano farla finita con la Repubblica e la democrazia, essi puntavano sul ritorno a una Germania di tipo imperiale. La nobiltà e l’esercito chiedevano il ripristino degli antichi privilegi di casta, nonostante la Repubblica avesse trattato le classi alte – come scrive Shirer nella sua opera sul Terzo Reich – con estrema generosità e tolleranza: «Aveva permesso all’esercito di continuare a costituire una specie di Stato entro lo Stato, aveva dato modo agli uomini d’affari e ai banchieri di realizzare ampi profitti e agli Junker di mantenere le loro proprietà improduttive mediante prestiti del governo, che non venivano mai ripagati e che solo di rado venivano usati per la miglioria delle loro terre [p. 205]». Dal canto loro, i conservatori e i nazionalisti più moderati, non assunsero mai responsabilità di governo o di opposizione. Per quanto riguarda i comunisti, essi perseguivano la “strategia” di Mosca di contrapposizione dura ai socialdemocratici, spezzando l’unità politica delle classi lavoratrici. Mancando una classe media politicamente forte, l’instabilità e il mercanteggiamento politico erano inevitabili. Il ruggito più forte venne dalla crisi economica.

Torniamo a quel primo mattino del 30 gennaio, nell’anticamera dell’ufficio presidenziale dove ad attendere di essere ricevuto da Hindenburg c’è il nostro generale von Blumberg, il quale, va detto, era caduto “sotto l’ascendente del proprio capo di stato maggiore von Reichenau” che, come abbiamo visto, era divenuto un fervente sostenitore di Hitler. La porta dello studio presidenziale s’aprì e fece capolino Meissner, che con un cenno cortese invitò il generale ad entrare. Hindenburg lo accolse con cordialità, anche se dalla sua faccia era evidente uno stato di forte tensione e forse di malessere. La conversazione, dopo i primi convenevoli, si spostò sulla Conferenza di Ginevra, sulla quale Blomberg ragguagliò il presidente per sommi capi. Si passò poi, più volentieri, al tema della convocazione urgente, cioè la situazione politica e l’intendimento del presidente di conferire a Hitler-Papen l’incarico di formare un nuovo esecutivo. Hindenburg offrì a Blomberg la poltrona di Ministro delle forze armate, con il chiaro mandato di mantenere l’ordine e di stroncare qualsiasi colpo di mano dell’esercito, cioè di tenere a bada Hammerstein (contrario ad Hitler) e Schleicher, «ma anche a far sì che i militari appoggiassero il nuovo governo che sarebbe stato nominato qualche ora dopo [Shirer, p. 201]».

Blomberg fu fatto giurare e assunse da quel momento l’incarico di ministro, in un esecutivo annunciato ma che ancora non esisteva! Hitler aveva appreso le decisioni di Hindenburg la sera prima, al Kaiserhof, abbuffandosi di dolciumi. Per l’ex caporale e il suo partito i guai stavano per finire. La mattina dopo, appunto il 30 gennaio, verso le 10.30, Hitler, Hugenberg e altri membri del costituendo gabinetto, si riunirono nell’ufficio di Papen posto nei pressi del palazzo presidenziale. Verso le undici, attraversarono il giardino e si diressero verso l’ufficio del presidente. Si fermarono nell’ufficio di Meissner a discutere ancora tra loro. Secondo la testimonianza di Papen riportata da Shirer [p. 202], «Hitler rinnovò subito le sue rimostranze per non essere stato nominato commissario per la Prussia. Pensava che ciò limitasse grandemente i suoi poteri». Quando si dice che lo stile fa l’uomo! Hitler disse che i suoi poteri (stava per essere nominato cancelliere del Reich!) non potevano subire simili limitazioni e minacciò nuove elezioni. Nacque un’accesa discussione tra lui e il suo compare Hugenberg, che stupido evidentemente non era e le elezioni non le voleva di certo. Hindenburg, furioso, era in attesa, minacciò anche di andarsene. Papen temeva «che la nostra nuova coalizione si spezzasse ancor prima di nascere … Alla fine fummo accompagnati dal presidente … Hindenburg tenne un breve discorso sulla necessità di una piena collaborazione nell’interesse della nazione; dopodiché giurammo. Il gabinetto Hitler era stato formato».

Pertanto la nomina di Hitler non avvenne in forza dell’esito del voto, di una nuova maggioranza parlamentare che non sarà nella realtà dei numeri fino alle elezioni del 5 marzo 1933. Elezioni indette subito da Hitler che aveva ora in mano tutte le leve del potere statale. In febbraio vi fu l’incendio del Reichstag, con la conseguente decretazione d’urgenza e l’arresto dei leader comunisti. Il 5 marzo – in un clima di caccia alle streghe – il NSDAP ottiene alle elezioni il 43,9% dei voti: alleandosi in parlamento con i nazionalisti del DNVP (8%) raggiunse finalmente la maggioranza con complessivi 340 (288+52) seggi su 647. Per far passare in Parlamento la legge delega che gli dava poteri dittatoriali, in vigore poi dal 27 marzo, Hitler ha bisogno della maggioranza dei due terzi: la trova questa volta nell'appoggio del Partito di Centro. Il leader del partito è monsignor Ludwig Kaas; l’appoggio a Hitler venne dato in cambio dell’accelerazione della stipula del Concordato tra la Germania e la Santa Sede.

Schleicher uscì di scena e l’anno dopo fu assassinato sulla porta di casa da elementi delle Ss.. Hammerstein e la sua famiglia furono tra i pochi che opposero resistenza a Hitler. Blomberg fu il fautore della riorganizzazione dell’esercito tedesco. Nel 1938, quando non servì più, fu costretto a mettersi da parte a causa di uno scaldaletto sessuale. Oskar, il cui padre morì nell’agosto del 1934, parlò alla radio invitando i tedeschi a votare a favore dell’unificazione delle cariche di presidente e cancelliere nella persona di Hitler; fu promosso maggiore generale. Scrisse Albert Speer nelle sue memorie: «Poco tempo dopo partecipai a un’assemblea della sezione del partito a Mannheim e rimasi colpito dalla modestia delle persone e del loro livello spirituale [per un tedesco il termine ha un’accezione straordinariamente ampia]. “Con gente simile” ripetevo a me stesso “non ci si può illudere di governare uno stato”. Ma la mia era una preoccupazione superflua, perché il vecchio apparato burocratico continuò a funzionare imperterrito e senza inciampi anche sotto Hitler [p. 37]».



Bibliografia essenziale: William L. Shirer, Storia del Terzo Reich, Einaudi, s.i.d.; Joachim C. Fest. Hitler, Rizzoli, 1974; Adam Tooze, Il prezzo dello sterminio, ascesa e caduta dell’economia nazista, Garzanti, 2008; Jonathan Petropoulos, Royal and the Reich, Oxford Universit Press, 2006; Werner Maser, Hitler segreto, Garzanti, 1974; Colin Cross, Adolf Hitler, Mursia, 1977; Albert Speer, Memorie del Terzo Reich, 1971.

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