lunedì 29 luglio 2013

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All’aperto, ieri sera, ho visto il film di Paolo Sorrentino, La grande bellezza. C’era folla, afa soffocante e le solite zanzare. Di seguito provo a raccontare non la trama del film, bensì le mie impressioni.

Il regista vuole raccontare Roma nella sua bellezza e nel suo orrido attraverso la vicenda di uno scrittore viveur e della mondanità che frequenta. Si tratta di un tema sociale ed estetico che promette bene e che invece poi il film delude, salvo nello spettatore che si accontenta del mero “divertente”.

Il lato buono del film offre squarci della Roma monumentale e artistica sotto la luce distratta dell’alba o di tramonti dai colori eccessivi. Per il lato meno nobile, non ho elementi di riscontro diretto per dire se il soggetto attorno al quale si sviluppa il racconto – le ammucchiate festaiole dei quiriti d’alto bordo ­– configuri uno spaccato realistico oppure se prevalga la finzione.

Il punto però è un altro, ossia l’assenza – tra la mondanità godereccia descritta – di figure tipiche dell’intreccio tra politica e affari, favori e intrighi, spartizioni e tangentine, dissimulazioni disoneste e orgogliosi asservimenti, bassezze trasversali e ipocrisie di regime fatte passare per sussulti di dignità morale. Insomma non credo proprio che la mondanità capitolina autentica possa ridursi al caravanserraglio mostrato dal regista, costituito di nostalgie postmoderne di vecchie mummie con sintomi d’incontinenza, di funerali solenni e consumati cliché.



Del resto mi chiedo se il film poteva avvicinarsi con realismo a certi dettagli bruti senza correre il rischio di scoraggiare gli sponsor, quelli dei marchi pubblicitari che come in un carosello sono esibiti in modo francamente smaccato. Già la seconda scena apre con un gigantesco e insistito richiamo a una nota bevanda alcolica, per non dire di quel vero e proprio spot, imbucato a un certo punto senza un perché, che invita a bere una certa birra a casse. Se non altro le “casuali” inquadrature delle insegne della Banca Popolare di Vicenza sono dichiarate come finanziamenti nei titoli di coda.

Nel movimento del film spesso le trame s’arrestano agli estremi, il racconto diventa frammentario e in effetti non decolla mai. Allo spettatore non resta un attimo per riflettere che già è preso da un’altra micro-storia, anche questa separata dal resto. Una storia che sembra non finire e che non incomincia mai veramente, ti strizza l’occhio per lusingarti e poi ti lascia nel momento più accattivante.

Il protagonista, Jep Gambardella, ossia Toni Servillo, è un ex scrittore e un improbabile giornalista che spende tutte le proprie energie – e non pochi denari – nel ruolo sociale straordinario e ossessivo che ben volentieri da decenni ha accettato di recitare nei salotti romani, dispensando saggezza e sarcasmo, salvo destarsi al compimento del 65 compleanno e riconoscere la propria vita spesa in un inutile inseguimento del nulla.

L’esigenza di una nuova spiritualità, insospettata in un uomo avvertito, disilluso e cinico qual è Jep, s’impasticcia con un episodio – quello con la santona e il cardinale esorcista – che avrebbe potuto virare in una prova esilarante e invece scade nel patetico restandone misterioso il motivo, se non la paura della morte che forse – non lo sapremo mai ­ – indurrà Jep a baciar pile a ogni cantone?

Sorrentino è ben lontano dall’investigare quei fenomeni e quei processi che riguardano la coscienza collettiva, le cause sociali e psicologiche che la determinano. Il suo Jep vivacizza l’ambiente con qualche battuta di spirito (Carlo Verdone ingabbiato in un ruolo che si vede gli va stretto come un cappio al collo), dissacra i fenomeni più facili, alla Marina Abramovic, e poi Sorrentino dedica qualche esplicito omaggio al Roma di Fellini, il quale però nel suo film non faceva mancare qualche piccolo scavo vero, perché il cinema deve far pensare e non solo intrattenere.


1 commento:

  1. “È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento, l’emozione e la paura… Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile.”

    http://diobenedicaquestospazio.blogspot.it/2013/05/la-grande-bellezza-di-paolo-sorrentino.html

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