sabato 15 marzo 2014

L'invenzione del bot


Le obbligazioni del debito pubblico (i famosi bot, bund, bonos, ecc.) sono un’invenzione fiorentina del XIV secolo, tanto per cambiare. Anche allora, come sempre, gli Stati dovevano far fronte a ingenti spese di ogni tipo (il welfare non è un’invenzione recente, tutt’altro), soprattutto per le dispendiose e continue guerre combattute da avidi condottieri e da truppe mercenarie. Sennonché nel novembre 1342 Gualtieri di Brienne, duca d’Atene, che governava Firenze da dittatore, si trovò in condizioni così disperate con le casse pubbliche che cancellò tutti i rimborsi per debiti in modo che l’ammontare delle imposte affluisse tutto all’erario invece che ai creditori dello Stato.



Il debito era salito a tal punto che il suo consolidamento (si chiama così quando non si pagano i debiti ai creditori) apparve come l’unica soluzione. Una legge dell’anno successivo dispose che tutte le obbligazioni (cioè i titoli del debito) non rimborsate venissero consolidate e fossero registrate in un apposito registro del debito pubblico, così come avviene esattamente anche oggi. L’anno dopo ancora un’altra legge dichiarò che i crediti segnati in qual registro fossero trasferibili (da una persona all’altra) e davano diritto ai possessori di un interesse annuo del 5 per cento. Nacque così quello che si chiamò il Monte Comune, in altri termini il debito pubblico.

Se questo tipo di titoli sono trasferibili da un soggetto ad un altro, questo porta a un mercato dei titoli, né più e nemmeno come avviene oggi. Si accese subito un dibattito tra i teologi se fosse lecito commerciare in titoli: i francescani dicevano di sì, per dispetto i domenicani dicevano di no e gli agostiniani nicchiavano.

Ad ogni buon conto tutto andò bene per alcuni anni, e poi, come accade anche oggi, il debito pubblico raggiunse tali vette che divenne sempre più difficile pagare puntualmente anche solo gli interessi sul debito. In tal modo il pagamento degli interessi arretrati dette origine a un fiorente mercato speculativo, sul genere di quello che oggi si chiama il mercato dei credit default swap e che allora si chiamavano “luoghi” di Monte Comune. Nulla di nuovo sotto il sole, dice Qoelet.

Divenendo sempre più insostenibile il debito anche il corso dei titoli di Monte Comune ne risentiva, finche si giunse nel 1358 a offrire 300 fiorini di titoli del debito per 100 fiorini in contanti ai nuovi sottoscrittori. Fu così che il governo fiorentino, per far fronte alla schiacciante urgenza di contante, fu costretto, oltre che ad aumentare tasse, dazi e gabelle a puntare sui prestiti forzosi, ossia a introdurre forme di prelievo fiscale antesignane delle attuali “patrimoniali”. E anche in tal caso Qoelet direbbe che la storia è solo una noiosa ripetizione di cose già viste.

Per ultimo, due parole sul sistema di tassazione allora vigente. C’è da osservare anzitutto che il principio dell’imposta progressiva non è un’invenzione della Costituzione “più bella del mondo”.  Anche allora valeva il principio “… bene, iuste et equaliter, ita quod quilibet extimum habeat secundum facultatem et possibilitatem suam”, e tuttavia, anche se potrà sembrare incredibile a noi contemporanei del XXI secolo, allora i ricchi volevano che a pagare le tasse fossero anzitutto i poveri (se no che ci stanno a fare?).

L’extimum di cui sopra, era un’imposta diretta introdotta già dal XIII secolo, allorquando le imposte indirette, ossia dazi e gabelle, si rilevavano insufficienti a garantire un gettito adeguato. Le imposte indirette, oltretutto, avevano il serio inconveniente, oggi quasi del tutto trascurato, di violare il principio della capacità contributiva perché gravavano più sui poveri che sugli abbienti, così come oggi succede con l’Iva, laddove per i propri consumi l’abbiente paga una imposta uguale al povero, oltre al fatto che in tal modo il povero vede tassato indirettamente tutto (o quasi) il proprio reddito e invece l’abbiente solo in parte (per quanto gozzovigli e sprechi).

L’extimum, ossia l’imposta sulla proprietà basata sul valore dei beni mobili e immobili, non garbava per nulla ai ricchi (che invece avevano la grana e l'interesse a speculare sul debito pubblico) e costituì uno dei punti di maggior contrasto tra i ricchi mercanti e i proprietari di manifatture da un lato, e dall’altro il popolo minuto costituito da artigiani e classe operaia. Ad ogni modo l’estimo fu abolito nel 1315, poi reintrodotto nel 1325, poi abolito di nuovo e nemmeno durante la famosa rivolta dei Ciompi si riuscì a reintrodurlo in modo permanente.

Se ne avrò l’occasione, una prossima volta, farò accenno al sistema di tassazione fiorentino più in dettaglio, in specie sulla riforma tributaria del 1427 di cui ebbe a dire più tardi anche un certo Machiavelli (Istorie fiorentine, lib. IV para. 14).



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