lunedì 24 marzo 2014

Loro non le pagano di sicuro


Se il debito pubblico fosse la metà di quello che è ora, in quindici anni riuscirebbero a riportarlo allo stesso livello di adesso. Non è una battuta, rispecchia l’andamento del debito dal 2008 a oggi, pur con i tagli di spesa dei servizi, delle pensioni e dei salari pubblici. Eppure a governare l’economia di questo paese si sono succeduti – a sentire molti – gli ingegni più creativi e i tecnici più brillanti. Al servizio di chi?



A un certo punto sembrava che il rimedio a tutto fosse l’abbassamento del differenziale tra bot e bond e l’iniezione di centinaia di miliardi alle banche da parte della Bce. Eppure il debito, in termini assoluti e pure in rapporto al Pil continua a salire. Ognuno ha la propria spiegazione di questo fenomeno, non c’è uno che non vorrebbero tagliare di qui e di là, basta che non sia il proprio. Anch’io, nel mio piccolo, ho dato un suggerimento: tassiamo successioni e donazioni. Siamo matti, così si colpiscono i patrimoni, si rischierebbe di tassare progressivamente la ricchezza, cosa vietata espressamente dall’art. 53 dalla Costituzione.

E, del resto, nessun governo ha avuto nulla da ridire quando uno dei maggiori concessionari italiani ha “delocalizzato” le quote di maggioranza in un fondo lussemburghese, o quando la maggiore industria italiana ha deciso di avere quotazione principale a Wall Street, sede legale ad Amsterdam e residenza fiscale nel Regno Unito (*).

Ma si tratta di pochi piccioli, in quanto la sola Fiat SpA ha versato imposte nel 2013 per la miseria di 244 milioni di euro. In un comunicato del gennaio scorso la stessa Fiat affermava di aver maturato un credito fiscale di 943 milioni, per una partita straordinaria nel bilancio della neo acquisita Chrysler di circa 1,5 miliardi. Che cosa significhi esattamente, non lo so io e nemmeno il Corriere della sera che riportava queste e altre notizie Fiat il 31 gennaio a pagina 39.

Poi non bisogna dimenticare che sotto la bandiera olandese vive anche il paradiso fiscale delle Antille Olandesi. E chi porta gli zoccoli ai piedi non paga le royalties sui marchi e sui brevetti. Su questi aspetti della vicenda Fiat non mi pare che i telegiornali, né certi blog movimentisti, abbiano rotto i cabasisi come sono soliti fare per delle stupidaggini.

Si pensi al regalo che è stato fatto con una nuova normativa (sulla base di una sentenza della corte europea) alle società che si trasferiscono all’estero, il cui decreto ministeriale attuativo è dell’agosto scorso. Prima, per trasferire la sede fuori dall’Italia, era necessario pagare subito le tasse sulle plusvalenze che la vendita degli asset della società avrebbe generato, la cosiddetta “exit tax”. Invece ora la tassazione è differita nel tempo e viene rimandata solo al momento della cessione vera e propria dell’asset.

Ma ci sono ben altri motivi per trasferire le sedi all’estero. Il diritto societario olandese, per esempio, è “estremamente flessibile” e consente “innovative operazioni sul capitale” (**). Altro esempio: nel Regno Unito l'aliquota fiscale sulle società è progressivamente passata dal 28% del 2010, al 21% nel 2014, e scenderà al 20% nel 2015, ben sotto la media europea, per non dire di quella italiana. Anche a livello di fiscalità internazionale, il Regno Unito garantisce un'ampia rete di trattati contro le doppie imposizioni e nessuna ritenuta alla fonte sui dividendi distribuiti.

Quello che è chiaro è che la holding FCA non pagherà in Italia la IRAP e la IRES cui era invece soggetta Fiat Group SpA.

Sacomanni disse che era “convinto che fosse tutto regolare”, e Befera affermò che avrebbe “vigilato”. I sindacati hanno protestato.

Capito perché nell’Unione Europea ogni paese ha la tassazione che più gli fa comodo? E invece ci raccontano tutti i giorni che chi dissangua questo paese sono i pensionati, soprattutto quelli fino a 1400 euro lorde il mese.

(*) Il governo Usa si è assunto i costi di ristrutturazione di GM e Chrysler per 12 miliardi di dollari. In questo modo ha salvato Detroit. Lo Stato francese ha in portafoglio la Renault e adesso entra in Peugeot per favorirne l’internazionalizzazione in Cina, dopo che è venuto meno l’accordo privato Peugeot-GM. In Germania il lander della Bassa Sassonia è da sempre un azionista con diritto di veto in Volkswagen. Invece per quanto riguarda la Fiat, essa era nazionale, oggi è internazionale. Come per le vacche di Mussolini in parata, sempre quelle restano le fabbriche. Che oggi sono in larga parte ferme per mancanza di modelli esportabili, perciò ti credo che la produttività è bassa! Ora pure Stampa, Corriere e Gazzetta dello Sport hanno un azionista esterovestito.

(**) Con il 10 per cento, per dire, puoi avere un peso del 40 o del 50 per cento avendo dividendi per il 10. In Italia le azioni a voto multiplo sono proibite, ma nella maggior parte dei Paesi occidentali sono lecite.




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