mercoledì 21 maggio 2014

Il massaro e il generale puzzone


Il regista delle nostre vite è il caso.

È noto che gli inglesi hanno una concezione dell’igiene molto particolare, salvo che per talune esteriorità. Mio malgrado potrei riferire a lungo sull’argomento per strettissima cognizione. A voler semplificare, la questione potrebbe aver origine anche dal fatto che fin quasi al XIX secolo in Inghilterra c’era un’imposta sul sapone. Sennonché gli inglesi sono luridi a prescindere dalla loro classe sociale e ciò non s’accorda in pieno con l’anzidetta motivazione fiscale. Buckingham Palace, ancora nel 1838, risultava privo di bagni, tanto che per la toilette della nuova sovrana Vittoria il parlamento decise  di stanziare 5mila sterline.



Né le cose andavano meglio alla Casa Bianca se è vero che la prima vasca da bagno fu installata solo nel 1851 e non senza resistenze puritane. Del resto, ancora nel 1880 cinque abitanti su sei degli Stati Uniti non erano forniti di bagno. Non che le cose andassero meglio in Italia, laddove il bagno che non fosse semplice recesso di necessità evacuative è acquisizione relativamente recente in molte abitazioni. Ma ora, migliorate le strutture, pare le cose vadano meglio di come andavano con Mussolini, il quale, come raccontava Federico Zeri in un suo libro (Sbucciando piselli), non si faceva il bagno che una volta alla settimana. Però, stando a Gore Vidal, che ebbe ad incrociare il Duce alle terme di Caracalla (Palinsesto, p. 99), faceva largo uso di colonia.

Anche i francesi, dal canto loro, fanno largo uso di profumi. Per il resto, in materia d’igiene, sono piuttosto laschi. Ricordo un dopocena con dei parenti d’oltralpe e un mio maldestro accenno in tal senso con la scusa di citare il romanzo di Patrick Süskind. Offesissimi. Quando invece c’è da farsi burle su difetti e mende des italiens, siano cose vere o riciclate dagli stereotipi più vieti, allora inglesi e francesi danno la stura a quel loro irritante sarcasmo che chiamano, impropriamente, humor o humour.

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Lo scorso fine settimana ho visitato le isole borromee, nell’omonimo golfo del Lago Maggiore. Mi pare di aver già detto in altra occasione quanto ami gli alberi, se possibile ancor più dei fiori. Il Lago Maggiore è da questo punto di vista la sede dell’Eden. Ad ogni buon conto non è di questo che voglio dire, ma del soggiorno avvenuto in quei luoghi del generale Buonaparte e del caso che mi ha portato a leggere la corrispondenza relativa alla visita napoleonica sull’isola. La trovo d’interesse, se non proprio storico, almeno sociologico.

A scrivere le lettere non è un condottiero o un politico del tempo, e nemmeno un letterato, bensì un massaro, cioè l’amministratore dell’Isola Bella (una delle quattro del Lago, cui s’aggiunge lo scoglio della Malghera, vulgo: dell’Amore) che scrive e riceve risposta  dal conte Giberto V Borromeo Arese. Nonostante il nutrito seguito, l’arrivo del generale francese fu improvviso. Colto di sorpresa, il massaro dei Borromeo scrisse di essere “molto inquieto nel dover da un momento all’altro far scoprire più letti e specialmente quello di lustrino e fiamme nell’Alcova”.

L’ho visto il letto in cui il generale e consorte si coricarono per una notte. Nulla di speciale, si tratta di un letto molto piccolo (corto), non già per via della statura del futuro imperatore, come si potrebbe essere indotti a pensare, bensì a motivo che all’epoca non era uso, come invece in genere oggi, dormire supini, distesi. Si dormiva quasi seduti, appoggiati a grandi cuscini, per ragioni che qui è superfluo indagare.

Dice il massaro nella lettera del 22 agosto 1797 che Madame è più cortese del generale, e possiamo credergli sulla parola. Assicurava il buon uomo al conte Giberto che all’epoca (giugno 1785) in cui fu ospite – anch’egli frettoloso – l’imperatore d’Austria Giuseppe II, da questi ebbe “molto meno disturbo”. Prosegue nella lettera: “Ciononostante possiamo ringraziare Iddio essere stata breve la dimora [di Napoleone] altrimenti questa casa [il palazzo dell’isola] sarebbe divenuta un vero quartiere di soldati".

Al seguito del generale, ospiti nel palazzo, c’erano ufficiali del suo stato maggiore e soprattutto famigliari: le sorelle Paolina, Carolina, futura regina di Napoli, Elisa, futura principessa di Lucca e Piombino, il figlio di sua moglie Eugenio Beaubernais, futuro viceré d’Italia. Il generale Buonaparte, il giorno del suo arrivo, il 18 fruttidoro, pranzò nell’appartamento “grottesco”, forse perché più fresco rispetto alle stanze del piano superiore.

Il nostro massaro ebbe modo di dolersi e raccontare che il personale di casa rimase sbigottito dall’invadenza degli ospiti confidando di non avere mai visto una scena simile. Soprattutto, soggiunge l’amministratore, “alla partenza del Buonaparte si trovarono alcune stanze [immaginiamo quali] ben sporche e pur puzzolenti”.

È opportuno che queste cose restino tra noi e non valichino le Alpi, sennò poi chi li sente i “cugini”. Da notare, però, che quando qualche anno dopo, ossia l’11 maggio 1805, si prospettò una nuova visita di Josephine, divenuta imperatrice, il conte Giberto scriveva al proprio amministratore, che non doveva essere uno sprovveduto, manifestandogli i propri non vani timori:

«La famiglia imperiale cioè l’imperatrice e l’imperatore sono persuasi che l’aria dell’isola sia umida e malsana. Se mai, o questi sovrani o altri signori di quella nazione venissero costì, coltivate pure questa opinione benché sia falsa e lasciate pure che credano l’insalubrità dell’aria.»


L’imperatrice, tuttavia non si fece scappare l’occasione per essere ospite nel giugno successivo (furono approntate sette grandi tavolate), e nel luglio dell’anno seguente giunse il figlio Eugenio, approdando il giorno tre del mese con imbarcazioni addobbate “a tutto sfoggio”. Nell’occasione, registrano le cronache, sparirono un candeliere d’argento e varie pezze di tessuto di Fiandra, nonostante il conte avesse consigliato il fattore di tenere d’occhio i forestieri.

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