sabato 28 giugno 2014

Note a margine di una biografia: l'obiezione di Keynes


La prima carneficina mondiale – come del resto altre guerre – non può essere compresa appieno senza considerare che essa fu essenzialmente una questione di calcolo di mercanti e banchieri. Pochi individui che, per esempio sotto bandiera a stelle e strisce, negarono nel 1917 un armistizio tra i belligeranti, poiché ciò metteva a rischio i prestiti concessi largamente alle potenze dell’Intesa. Era necessario che vi fossero degli sconfitti sui campi di battaglia e che questi pagassero fino all’ultimo scellino i debiti di guerra ai vincitori.

Noi possiamo considerarci gli eredi di coloro che riuscirono a salvare la pelle in quel disastro, soprattutto europeo, subìto per fede in un qualche calcolo assurdo o fallito.

Ancora e sempre dei morti in nome dei tornaconti venali come lo sono i morti di oggi in Ucraina seguiti al rifiuto del presidente Viktor Yanukovich di firmare quegli stessi accordi che il suo successore, dopo il colpo di stato, ha baldanzosamente siglato in queste ore a Bruxelles. Come lo sono i morti in Iraq, in Afghanistan, in Siria, e dovunque vi siano dei sacri valori della democrazia capitalistica da difendere armi in pugno (*). Quando ci sarà una Norimberga per questi criminali?

*


Nel gennaio 1915 John Maynard barone di Keynes era diventato, su pressione di Edwin Montagu, assistente di sir George Paish (principale consigliere di Lloyd George) presso il ministero del Tesoro a Londra. A maggio entra a far parte dell’ufficio finanziario dove diventa responsabile per il settore bancario, la valuta e gli scambi della finanza interalleata. Nei suoi concisi e lucidi rapporti poneva in luce che i reclutamenti d’operai per i fronti di guerra (dopo l’approvazione della legge sulla coscrizione obbligatoria per i maschi dai sedici ai quarantuno anni) nuocevano all’industria delle esportazioni. Un tasso di cambio di una sterlina per 4,86 $ non avrebbe retto al crollo delle esportazioni e all’aumento dell’inflazione, e da quel rapporto di cambio dipendevano le importazioni di merci e armamenti dagli Usa. E pure la riduzione della produzione interna avrebbe posto in serio pericolo gli approvvigionamenti alimentari e militari. Che poi quella stessa manodopera industriale impiegata in prima linea fosse destinata all’ecatombe era un aspetto che la cinica metodica economica non teneva in conto.

Dove ci porterà, ancora una volta, quella stessa cinica metodica ragionieristica? A noi, per la verità, importa nulla di cosa succede nelle varie periferie del mondo, ben consapevoli che la faccenda della guerra non ci riguarda se non per i suoi aspetti consumistici, ossia per la regolarità dei rifornimenti di idrocarburi e per il loro listini. Siamo così beati nelle nostre sicurezze che l’unica cosa che può davvero turbarci sono le immagini, purgate, dei massacri all’ora di cena in tivù.

Nondimeno il Keynes, che aveva escluso fino all’ultimo l’eventualità di una guerra europea, già esonerato dalla leva per essere un funzionario del Tesoro, in seguito alla legge sulla coscrizione obbligatoria scrisse al tribunale di Holborn rivendicando “un’esenzione completa” quale obiettore di coscienza! Secondo un suo biografo, Donald Moggridge, egli non si presentò nemmeno all’udienza dicendosi troppo occupato al ministero (p. 260). Due anni più tardi, scrisse a Duncan Grant, artista membro del noto Bloomsbury Group: “Io lavoro per un governo che disprezzo per i fini criminali che persegue” (ibid., 279).



(*) Preciso, per chi avesse l’avventura d’imbattersi per la prima volta in questo blog, la mia idiosincrasia, per così dire, riguardo a quei regimi sedicenti socialisti che non sono nemmeno riusciti a dare abbastanza di cui nutrirsi ai propri popoli (per tacere del resto).

Nessun commento:

Posta un commento