giovedì 13 novembre 2014

Non solo è possibile, ma è ineluttabile necessità


Due settimane fa, riportando i dati di un report di Unicef, ho scritto un post a riguardo dell’aumento della povertà infantile nei cosiddetti paesi sviluppati. Mi limito ora a riportare solo poche frasi del rapporto che mi sembrano di per sé significative:

Nel 2012, i minori che vivevano in condizioni di grave deprivazione materiale in 30 paesi europei erano circa 1,6 milioni in più rispetto al 2008 (11,1 milioni contro 9,5 milioni). La Grande Recessione ha comportato sofferenze e rischi che accompagneranno per tutta la vita altri 619.000 bambini in Italia, 444.000 in Francia […].

Nelle epoche passate le risorse alimentari, se meglio distribuite, avrebbero potuto alleviare le condizioni di miseria in cui vivevano milioni di esseri umani.  E tuttavia da un lato il livello di sviluppo economico raggiunto in quelle epoche non avrebbe potuto garantire il sufficiente sostentamento di tutti nei casi di ricorrenti carestie, mentre dall’altro lato la divisione sociale in classi poneva la classe dominante nelle condizioni di appropriarsi di gran parte della ricchezza prodotta, per quanto essa potesse essere più scarsa in talune circostanze.


Oggi, invece, il livello di sviluppo produttivo ci consentirebbe, se gestito con criteri diversi da quelli capitalistici basati sul profitto, di soddisfare largamente ogni bisogno dell’umanità, di sconfiggere la denutrizione e la miseria assoluta cui è soggetto un miliardo di esseri umani, e la povertà cosiddetta relativa in cui sopravvivono altri miliardi di persone. Resta però irrisolta la questione della divisione sociale in classi. Se oggi la ricchezza prodotta da un dato numero di lavoratori produttivi è superiore di cinquanta o cento volte a quella prodotta dallo stesso numero di lavoratori in altre epoche, che cosa avviene di quella ricchezza?

Le nuove e potenti forze produttive che fino ad ora servono per l’arricchimento dei singoli e il mantenimento di schiere di leccaculo che a vario titolo sostengono questo sistema di asservimento delle masse, non offrono forse la base per un rinnovamento sociale profondo e radicale di modo che il prodotto del lavoro sia destinato solo per il benessere comune? E certo che ci dicono che è un’utopia, vorrei ben vedere che il mondo degli “affari” e degli intrallazzi politici ci dicesse il contrario!

E tuttavia fino a quando un individuo si propone come semplice filantropo, alla Bill Gates per esempio, raccoglie plausi e onori, gloria e popolarità presso ogni ceto sociale e uomini di Stato. Questi individui possono occasionalmente anche criticare qualche aspetto di quella che chiamano “ingiustizia” sociale. Ma se tali individui si facessero avanti contestando questo sistema di predazione nei suoi caratteri costitutivi, rivelando come esso poggi sulla povertà e il bisogno delle masse, e come povertà e bisogno siano il prodotto sociale più genuino dello sfruttamento capitalistico, allora l’atteggiamento nei confronti di questi filantropi cambierebbe di punto in bianco. Sarebbero tacciati di essere comunisti, messi al bando da tutta la società ufficiale e perderebbero la loro reputazione.

Il fallimento del sistema capitalistico non può essere negato semplicemente asserendo che questo è il migliore sistema sociale possibile. È questa una posizione che non può più essere sostenuta seriamente e con onestà. Il capitalismo ha un solo movente: lo sfruttamento del lavoro per aumentare i profitti. Il neoliberismo è la sua ideologia di successo. Tutto il resto sono chiacchiere per mascherare il vero volto di un sistema che attraverso il controllo e il condizionamento cerca di mantenere stabile e definitiva la dittatura di classe, di espropriare le grandi masse proletarie di ogni idea che si ponga sul terreno dell’antagonismo (*).

Solo per fare il nostro caso, noi vediamo come questa crisi stia durando ormai da più tempo di quanto sia durata la seconda guerra mondiale, e non se ne vede la fine. Anzi, la disoccupazione e la precarietà aumentano, diminuiscono anno dopo anno i consumi e crolla la produzione, aumenta l’imposizione fiscale a danno soprattutto dei redditi più bassi, crolla la natalità e diminuiscono i matrimoni, soprattutto i primi matrimoni. La sfiducia regna sovrana, e nonostante ciò non solo non possiamo sperare in nessun serio intervento politico, ma si distoglie l’attenzione dai problemi parlando da anni di riforma elettorale, cioè della riscrittura delle norme elettorali che servono esclusivamente a trasformare sempre più le elezioni in una farsa e un plebiscito di fatto.

Il primo passo per una presa di distanza da questo letamaio è non votare; il secondo passo è diffondere la consapevolezza che questo sistema per sua natura non può migliorare; che il comunismo di cui tanto si è parlato non solo non è ancora mai esistito, ma non è mai stato realmente tentato; che un altro mondo non solo è possibile sulla base delle attuali condizioni storiche, ma si pone come ineluttabile necessità se non si vuole andare incontro a nuove e terribili catastrofi.


(*) La presa di coscienza dei modelli e dei programmi semiotici che agiscono inconsciamente è condizione indispensabile per muovere verso il controllo cosciente del comportamento dell’individuo e della collettività (Jurij Lotman, Tesi sullo studio semiotico della cultura, Pratiche editrice, 1980, p. 70). Ecco perché è importante promuovere un processo di presa di coscienza delle leggi di formazione della coscienza, se non a livello di massa, almeno a livello degli elementi più avanzati. In questo processo incessante e fondamentale della lotta di classe, la borghesia ci ha sopravanzati da un pezzo.

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