lunedì 22 dicembre 2014

La più importante scoperta di Marx



Qual è la più importante scoperta di Marx? Ognuno ha la sua risposta e il panorama è assai vario trattandosi di un gigante del pensiero. Cito grossomodo: la teoria del valore-lavoro, la legge generale dell’accumulazione capitalistica (da cui ricava quella sulla sovrappopolazione relativa), quindi la legge sulla caduta tendenziale del saggio del plusvalore e ovviamente l’esatta formulazione della categoria del plusvalore stesso (*).

Quelle citate sono analisi e scoperte fondamentali nell’ambito della critica dell’economia politica, e tuttavia vorrei sottolineare il fondamentale e rivoluzionario contributo teorico di Marx riguardo la scienza della conoscenza, ossia il materialismo storico-dialettico quale concezione generale della realtà.

A questo punto una parte dei lettori ha già deciso con un clic che non è il caso di rovinarsi la giornata con cose così tediose. Non pensino a fine anno di essere premiati.

*



L'uomo non ha semplicemente imposto al mondo un modello creato dal suo intelletto. Il suo intelletto è esso stesso un sistema che, nel tentativo di adattarsi all'ambiente circostante, cambia di continuo.

Difficile non essere d’accordo, vero? Le concezioni borghesi sono, di primo impatto, affascinanti. Catturano per la loro piana logicità, il loro contenuto si adatta facilmente trovando già favorevolmente predisposta la nostra psiche (se non ci piace “psiche” chiamiamola paidèia, fa fine). Stipendiare tanti specialisti dell’ideologia serve anzitutto a rendere compatibili i modelli di pensiero con i rapporti sociali dominanti di riferimento.

Quale differenza ci sarebbe tra l’agire umano e quello degli altri animali? Restringiamo pure la platea: tra l’uomo e gli altri primati? Sostanzialmente nessuna. Anche gli altri animali s’adattando all'ambiente circostante che cambia di continuo, anche il loro mondo non è creazione del loro cervello.

E ora entriamo nel senso ristretto ed essenziale della formulazione data da Friedrich Hayek e riportato dal mio amico Luca in un post breve che merita di essere letto:

L'idea di un uomo che deliberatamente costruisce la sua civiltà deriva da un falso intellettualismo che considera la ragione umana come qualcosa al di fuori della natura e provvista di una capacità intellettiva e razionale indipendente dall'esperienza.

Come vedremo, tale concezione risponde a uno dei più frusti truismi di cui è capace l’ideologia borghese, da cui poi diramano le correnti di pensiero sia reazionarie e sia quelle sedicenti moderate (per parte mia reazionario e moderato non formano un ossimoro), di modo che su queste questioni, che sembrano tutto sommato marginali, la pensano allo stesso modo sia i fascisti di casapound e sia i fisici del CERN di Ginevra.

Il significato di questa concezione è univoco: volete costruire una società diversa dall’attuale? Poveri illusi, ciò deriva da una concezione falsa che ritiene quella umana una capacità intellettiva e razionale indipendente dall'esperienza. Ciò è fuori dalle possibilità e dalle capacità intellettive dell’essere umano. Teniamoci stretto quello che c’è in attesa delle “esperienze future”.



*

Anzitutto va detto subito che nessun marxista (in questo post c’è già buona traccia di che cos’è il marxismo e ciò che non c’entra), e vorrei dire nessuna persona razionale, sostiene che quella umana possa essere una capacità intellettiva e razionale indipendente dall'esperienza. Questo è solo un modo facile per mettere in ridicolo una posizione che non esiste nella realtà, un artificio polemico di alcuna presa scientifica, si tratta di robaccia che solo un idiota può congetturare.

La differenza fondamentale tra gli uomini e gli altri animali sta nel fatto che gli uomini il mondo lo trasformano e gli altri animali invece s’adattano a quello che la natura offre. Inoltre non producono unicamente e unilateralmente solo ciò che serve per i loro bisogni fisici immediati. L’animale riproduce solo per se stesso, secondo misura e bisogno, mentre l’uomo produce in modo universale, riproduce l’intera natura, predispone la misura inerente a quel determinato oggetto, e sa costruire anche secondo le leggi della bellezza. Il prodotto dell’animale appartiene al suo corpo fisico, mentre l’uomo si pone liberamente di fronte al suo prodotto (**).

E dunque che cosa, specificatamente, distingue l’uomo dagli altri animali?

Il lavoro.

Quindi il lavoro, come formatore di valori d'uso, come lavoro utile, è una condizione d'esistenza dell'uomo, indipendente da tutte le forme di società, è una necessità eterna della natura che ha la funzione di mediare il ricambio organico fra uomo e natura, cioè la vita degli uomini. (Karl Marx. Il Capitale, critica dell’economia politica, vol. I, Merce e denaro).

E ciò cosa comporta?

In primo luogo il lavoro è un processo che si svolge fra l'uomo e la natura, nel quale l'uomo per mezzo della propria azione produce, regola e controlla il ricambio organico fra se stesso e la natura: contrappone se stesso, quale una fra le potenze della natura, alla materialità della natura. Egli mette in moto le forze naturali appartenenti alla sua corporeità, braccia e gambe, mani e testa, per appropriarsi i materiali della natura in forma usabile per la propria vita. Operando mediante tale moto sulla natura fuori di sé e cambiandola, egli cambia allo stesso tempo la natura sua propria. Sviluppa le facoltà che in questa sono assopite e assoggetta il giuoco delle loro forze al proprio potere. (...) Il nostro presupposto è il lavoro in una forma nella quale esso appartiene esclusivamente all'uomo. Il ragno compie operazioni che assomigliano a quelle del tessitore, l'ape fa vergognare molti architetti con la costruzione delle sue cellette di cera. Ma ciò che fin da principio distingue il peggior architetto dall'ape migliore è il fatto che egli ha costruito la celletta nella sua testa prima di costruirla in cera. Alla fine del processo lavorativo emerge un risultato che era già presente al suo inizio nell'idea del lavoratore, che quindi era già presente idealmente. Non che egli effettui soltanto un cambiamento di forma dell'elemento naturale; egli realizza nell'elemento naturale, allo stesso tempo, il proprio scopo, che egli conosce, che determina come legge il modo del suo operare, e al quale deve subordinare la sua volontà. (Ibidem, La produzione del plusvalore assoluto).

Si noti la potenza e precisione delle formulazioni marxiane, dimostrazione di che cosa significa concezione materialistica della storia. Non si tratta di un materialismo meccanico, volgare, e ciò palesa l’abisso con le farneticazioni delle scimmie borghesi (***).

Breve digressione: questa stessa produzione, la trasformazione del mondo oggettivo, per l’uomo è la sua vita, per mezzo della sua attività la natura appare come la sua stessa opera e la sua realtà.

Quando invece il lavoro diventa alienato, degradando da mezzo dell’attività autonoma e libera a merce, quando diventa condanna, sottomissione, ricattabile, umiliazione, insomma infelicità, mezzo di mera sopravvivenza materiale, allora il lavoro perde il suo significato speciale, diventa “job”, non più il primo bisogno della vita, ma un’attività rivolta contro l’uomo, da lui indipendente, che non gli appartiene, lavoro dal lato della produzione capitalistica.

Ovvio allora che vi sia bisogno di riconfigurare ideologicamente l’attività umana per negare che l’uomo possa deliberatamente costruire la sua civiltà, non più basata sulla mera sopravvivenza. Tuttavia queste sono considerazioni, perciò andiamo al sodo della faccenda.

Certamente gli uomini non trasformano il mondo a loro capriccio ma seguendo, che lo sappiano o no, le leggi di natura. Riporto all’uopo alcuni passi tratti dalle pagine conclusive del primo libro de Il Capitale:

Come il selvaggio deve lottare con la natura per soddisfare i suoi bisogni, per conservare e riprodurre la sua vita, cosi deve fare anche l'uomo civile, e lo deve fare in tutte le forme della società e sotto tutti i possibili modi di produzione. A mano a mano che si sviluppa, il regno delle necessità naturali si espande, perché si espandono i suoi bisogni; ma al tempo stesso si espandono le forze produttive che soddisfano questi bisogni.

L'effettiva ricchezza della società e la possibilità di un continuo allargamento del processo di riproduzione dipende quindi non dalla durata del pluslavoro, ma dalla sua produttività, e dalle condizioni di produzione più o meno ampie nelle quali è eseguito. Di fatto, il regno della libertà comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità e dalla finalità esterna; si ritrova quindi per sua natura oltre la sfera della produzione materiale vera e propria.

La libertà in questo campo può consistere soltanto in ciò, che l'uomo socializzato, cioè i produttori associati regolano razionalmente questo loro ricambio organico con la natura, lo portano sotto il loro comune controllo, invece di essere da esso dominati come da una forza cieca; che essi eseguono il loro compito con il minor impiego possibile di energia e nelle condizioni più adeguate alla loro natura umana e più degne di essa.

L’animale è dominato dalle forze cieche della natura, e ciò vale anche per l’uomo nella misura in cui la sua vita è dominata dalla necessità. Per contro, quanto più l’uomo – a differenza degli altri animali – viene a controllare la natura e le sue leggi, tanto più esso diviene libero. In questo senso l'uomo crea il suo mondo, nel suo sviluppo intellettuale e materiale ha raggiunto la capacità e ha la possibilità di cambiarlo secondo un progetto. L’uomo inteso come essere sociale, poiché non esiste come individuo isolato, astratto. Non posso essere libero per me stesso se non lo sono anche per gli altri, e viceversa.

Non basta però che gli uomini controllino la natura e le sue leggi, che la loro volontà si fondi sulla conoscenza delle necessità. Questo è il lato oggettivo della faccenda. È viepiù necessario che gli uomini traducano la possibilità offerta dallo sviluppo sociale in realtà, e cioè in azione politica. Questo è il ruolo essenziale dalla soggettività nella storia, cosa spesso dimenticata dal materialismo esposto al naturalismo, come del resto è valutata erroneamente dallo spontaneismo.



(*) Non dobbiamo mostrare meraviglia che Marx giganteggi se pensiamo che l’economia politica non è riuscita di formulare la differenza fra capitale costante e capitale variabile senza riuscirvi con precisione, che non ha mai fatto distinzione fra plusvalore e profitto, né ha mai spiegato cos’è il profitto puro separato dai vari elementi che lo costituiscono e che sono resi reciprocamente indipendenti come profitto industriale, commerciale, interesse, ecc. ecc..

(**) Secondo la formulazione di Darwin “le specie hanno avuto origine e si sono estinte, si sono trasformate e sviluppate, nella lotta per l’esistenza, nel processo di adattamento all’ambiente circostante”. In questo modello, l’ambiente esterno svolge un ruolo importante e l’evoluzione si realizza mediante un conflitto permanente tra organismo ed ambiente. Ma si tratta di un conflitto che si attua senza svolte qualitative, evoluzionisticamente appunto, essendo l’adattamento delle specie animali di natura passiva, e cioè non mediato da alcun genere di strumenti (non ultimo il linguaggio extragenetico).

(***) Ogni volta, e capita spesso, che i media si occupano di scimmie si leggono enormi castronerie. Faccio degli esempi. Si è cercato d’insegnare il linguaggio gestuale agli scimpanzé, a comunicare simbolicamente per il tramite di ausili strumentali, eccetera; nonostante i notevoli ed interessanti risultati ottenuti negli esperimenti, compresi quelli che destano meraviglia nel grande pubblico e cioè quando gli scimpanzé dimostrano di essere in grado di risolvere problemi simbolici e comunicare idee di una certa complessità, tuttavia tali primati non sono in grado di sviluppare nulla di simile al linguaggio umano, non sono in grado cioè di unificare la funzione interna del pensiero e quella esterna della comunicazione. La comunicazione di questi animali è sempre direttamente collegata con la loro azione e non raggiunge mai lo stadio della rappresentazione oggettiva. In termini ancora più semplici (ma non fugherò i dubbi e soprattutto le certezze di molti) taluni scimpanzé, in circostanze determinate, costruiscono o usano strumenti per risolvere elementari problemi di pensiero (dimostrano forme elementari di pensiero intelligente, e perciò potrebbero far parte di qualsiasi governo) senza però che ciò sia in alcun modo collegato col linguaggio. È del resto vero che questi animali dispongono di un linguaggio espressivo (segni-gesti) anche abbastanza articolato, ma tali reazioni funzionano separatamente dal loro intelletto.

Nella mia infanzia, come mi rammentano alcune foto (a colori!), ho avuto cura di uno scimpanzé. Non ci eravamo troppo simpatici, non ci siamo mai capiti (lui parlava cockney), soprattutto in fatto di morsi e di pipì. Ognuno diceva che era colpa dell’altro, e i rimproveri toccavano tutti a me.  

9 commenti:

  1. "Il nostro presupposto è il lavoro in una forma nella quale esso appartiene esclusivamente all'uomo."
    Precisazione necessaria, quella di Marx: non è il lavoro in sé che distingue l'uomo dal resto dei viventi, bensì il lavoro "... in una forma nella quale esso appartiene esclusivamente all'uomo".

    Quanto all'uso del termine paideia al posto di psiche, non capisco.

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    1. L’unica cosa di questo post che ti sollecita un commento è un precisazione capziosa e pleonastica non solo perché faccio seguire subito la definizione marxiana, ma perché subito prima avevo in dettaglio specificato la differenza tra il tipo d’attività umana e l’attività degli animali. Il tuo è solo un atteggiamento puntiglioso e polemico.

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    2. Come dice il detto?

      "Il saggio indica la luna e....

      Ciao,g

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  2. Aggiungo l'importanza politica del 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, il bonapartismo reazionario come, al contempo, anticipazione del fascismo e della degenerazione plebiscitaria della democrazia borghese...

    Mordecaj

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  3. Se rinunciamo all'analisi concettuale ci appelliamo all'etologia cognitiva per mostrare sia che gli animali non umani hanno conoscenza, sia che questa conoscenza non differisce in modo significativo dalla nostra. Al fine di spiegare il comportamento degli animali non umani dobbiamo attribuire loro credenze vere che risultano tali non per mero accidente ,ma per il fatto di essere prodotte in modo affidabile da capacità cognitive adatte all'ambiente. Non rimane che interpretare l'epistemologia come una branca dell'etologia cognitiva :occorre conferire un valore pragmatico e intrinseco alla conoscenza dato che la conoscenza rappresenta lo strumento migliore per produrre comportamenti che soddisfano i bisogni e i desideri di ogni creatura biologica. Resta una domanda: la conoscenza (così come ogni altro 'oggetto' filosofico che si vuole ricondurre a fenomeno naturale) è un valore selezionato dall'evoluzione ai fini della sopravvivenza e della riproduzione?

    **
    La contingente mancanza di rapporto personale unitamente alla sterilità fisiognomica della scrittura suggeriscono forse una errata sensazione, quella che in qualche occasione di commento ci riporta come allievi in classe. Speriamo però che alla fine dell'anno ce la caviamo.

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    1. oltre all'uomo lei trova che vi sia qualche altro animale "umano"? e allora che cavolo significa "animali non umani"? tanto è vero che è un assurdo dire il contrario, cioè “umani non animali”. vero che siamo tutti animali, ma perché precisare che gli altri animali sono “non umani”? E come quando parlo di “lavoro”, è chiaro che non mi riferisco, salvo contesto diverso, al lavoro delle macchine o al lavoro animale, cioè al lavoro, come dice la Treccani, “in senso lato”. A evitare fraintendimenti siamo arrivati, e lo faccio anch’io, a dire “gli altri animali”, quando in passato bastava dire “gli animali” e tutti capivano. Viviamo tempi difficili anche sotto questo aspetto.

      Rispondo alla sua domanda che recita: “la conoscenza (così come ogni altro 'oggetto' filosofico che si vuole ricondurre a fenomeno naturale) è un valore selezionato dall'evoluzione ai fini della sopravvivenza e della riproduzione?”.

      Non so se ha notato, ma io parlo di linguaggio extragenetico proprio per distinguerlo da quel tipo di “conoscenza” che lei chiama “valore selezionato dall'evoluzione”. Insomma, parlo della “conoscenza” umana intesa come fenomeno culturale. Gli animali (gli altri animali!), non producono “segni”, conoscenza nelle forme culturali.

      Ciò detto, che cosa le fa pensare che nel mio post o in generale abbia voluto ricondurre la “conoscenza” quale “oggetto filosofico” a fenomeno naturale? A me pare il contrario.

      Non credo le basti prendere posto sui primi banchi per cavarsela.

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  4. Cara Olympe, proviamo a partire dall’origine: gli istinti primari
    Gli istinti sono un bagaglio di istruzioni che innescano dei comportamenti involontari per reagire impellentemente verso il soddisfacimento dei bisogni primari, quindi per la sopravvivenza dell'individuo e della specie. Questi fanno capo al cervello Rettiliano, quello primordiale, che si trova nei mammiferi ed è fondamentale per le forme di comportamento stabilite geneticamente, quali scegliere il luogo dove abitare, prendere possesso del territorio, impegnarsi in vari tipi di parata [comportamenti dimostrativi], cacciare, ritornare alla propria dimora, accoppiarsi, [procreare], subire l’imprinting, formare gerarchie sociali e scegliere i capi” il comportamento di dominanza-sottomissione(la ricerca del CapoBranco). Il comportamento di dominanza-sottomissione svolge un ruolo fondamentale per la sopravvivenza dell'individuo e della specie, in quanto Costringe ad aiutarsi l’un l’altro: UNITI SI VINCE.
    Durante l’evoluzione si aggiunse un secondo cervello: il Paleomammaliano che rappresenta un progresso dell’evoluzione del sistema nervoso perché è un dispositivo che procura agli animali che ne dispongono mezzi migliori per affrontare l’ambiente. Parti di esso concernono attività primarie correlate col nutrimento ed il sesso; altre con le emozioni e i sentimenti.
    Infine un terzo: il Neomammaliano che è la sede dell’autocoscienza, delle concezioni dello spazio e del tempo, delle connessioni di causalità e di costanza.
    questi tre tipi fondamentali di cervello presentano fra loro grosse differenze strutturali e chimiche. Eppure devono fondersi e funzionare tutti e tre insieme come un cervello uno e trino, ma in caso di pericolo il Rettiliano prende il sopravvento.
    E veniamo all’oggi: viviamo in un mondo pieno di Pericoli veri ed indotti, siamo immersi in un mare di Violenza inaudita, assaliti da tantissime Informazioni tra cui non è facile districarsi, costretti a Divertirci, a non Pensare, Individualisti Divisi e vogliosi di CapobBranco , non per Partecipare ma per Sottomettersi, semplici Strumenti di produzione parlanti che producono oggetti senza più la creatività che arrichisce le coscienze e le realizza , insomma “Quando il lavoro diventa alienato, degradando da mezzo dell’attività autonoma e libera a merce, quando diventa condanna, sottomissione, ricattabile, umiliazione, insomma infelicità, mezzo di mera sopravvivenza materiale, allora il lavoro perde il suo significato speciale, diventa “job”, non più il primo bisogno della vita, ma un’attività rivolta contro l’uomo, da lui indipendente, che non gli appartiene, lavoro dal lato della produzione capitalistica”.
    NON PIU’ UOMO, NON PIU’ PRIMATE, SEMPLICEMENTE “COSA”
    Tanti cari auguri
    Chi sa scrivere come te, non smette, anche perchè, come accade per il vino, con l'avanzar degli anni si migliora.

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