lunedì 1 dicembre 2014

Petrolio: una questione (un po') scientifica


A proposito del crollo del prezzo del greggio, il mio amico Luca segnala questo articolo in cui un professore che insegna negli Usa dice alcune cose sensate e altre che cercherò di verificare sulla base di numerelli statistici. Dice:

“Nessuna spy-story sta condizionando i prezzi. E lo scontro tra Arabia Saudita e Iran influisce in minima parte. Gli esportatori tradizionali sono stati spiazzati dagli Usa che con lo shale oil hanno cambiato il mercato.”

Sulle prime due preposizioni nulla da dire, nutro una naturale idiosincrasia per le teorie del complotto, ben sapendo che sono stati orditi molti complotti nella storia, e però quasi mai andati secondo le prefigurazioni dei complottisti.


Sull’ultima frase del prof. invece vorrei osservare che lo shale oil non è proprio la stessa cosa del greggio. Ed infatti il professore precisa: “gli Usa non esportano greggio ma prodotti raffinati, il che è lo stesso”. Non è proprio lo stesso in termini di costi e di concorrenza, in quanto lo shale oil ha bisogno di essere sottoposto a trattamento prima di essere distillato. Ma ciò è dettaglio.

Sostiene poi il professore: “L'America ha esportato nell'ultimo mese 4,5 milioni di barili al giorno, il terzo produttore mondiale dopo Arabia Saudita e Russia. Ed è in grado di reggere una concorrenza fino a 50 dollari al barile”. Non so dove prenda i propri dati il prof., a me risulta questa tabella pubblicata dal NYT recentemente:


Tuttavia prendiamo per buono il dato di 4,5 mb/d, e confrontiamolo con quello della domanda:



Anzitutto vediamo che la domanda complessiva di greggio a livello mondiale nel 2014 è stata di oltre 90 mb/d, e rispetto all’anno prima è rimasta invariata. La prima considerazione da fare riguarda il fatto che presi per buoni l’equivalente di 4,5 mb/d, come dice il professore, essi rappresentano al massimo il 6% della domanda mondiale, e dunque una percentuale che non può motivare da sola il crollo del prezzo del petrolio di quasi il 40 per cento (sotto i 70 dollari e in tendenza di calo ulteriore).

Sarebbe assurdo negare l’importanza della produzione Usa di shale oil e del suo impatto sul mercato, ma ciò non basta a spiegare il crollo del prezzo. C’è dunque un eccesso di produzione come sostiene il professore? Certo, ma non solo come conseguenza delle esportazioni Usa (i quali quest’anno hanno importato mediamente circa 7 mb/d).

C’è da tener conto che il Brasile sta diventando un attore di prim'ordine per quanto riguarda la produzione di petrolio, che l’Australia con il bacino di Arckaringa potrebbe diventare, se non un protagonista assoluto del mercato, quantomeno un esportatore netto. Soprattutto Israele sta firmando contratti con diversi paesi per la fornitura del petrolio del Mediterraneo (sui giacimenti ne ho scritto un post qui). Che la domanda di greggio è in calo negli Usa e in forte calo in Europa. Eccetera.

La domanda di greggio Opec per il 2014 è rimasta invariata rispetto all’anno precedente. La domanda è stimata a 29,5 mb / d nel 2014, che rappresenta una diminuzione di 0,8 mb / d rispetto al livello di un anno fa. Il primo e il secondo trimestre i dati mostrano un calo, rispettivamente, di 0,9 mb / d e 1,5 mb / d,, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Il terzo trimestre stima un calo di 0,5 mb / d, mentre per il quarto si prevede aumento di 0,2 mb / d rispetto allo stesso trimestre dello scorso anno.

La domanda di greggio Opec nel 2015 è prevista invariata a una media di 29,2 mb / d, anzi con un calo di 0,3 mb / d rispetto all’anno corrente.

Per quanto riguarda le forniture non-Opec e dei prodotti non convenzionali, tipo lo shale oil:


E dunque sulla base di questi numeri escluderei una strategia anti Usa o qualche altra manovra da parte dei perfidi rappresentanti dell’Opec. La decisione dell’Opec di non diminuire la propria produzione può dipendere dalla semplice considerazione che quei paesi produttori non vogliono perdere quote di mercato rispetto ai produttori non-Opec. La quale considerazione non è determinata da motivi di ordine “psicologico”, come sostiene il professore, ma di ordine economico.

Insomma di petrolio ce n’è troppo, il suo prezzo era troppo alto, un prezzo speculativo, e siamo in una fase di netta deflazione. È forse questa una risposta troppo semplice? Visti i dati, per quale motivo dovremmo cercarne una di più complicata?

Semmai è degna di maggior interesse la differenza di prezzo tra i costi di produzione e raffinazione e quanto si paga alla pompa il carburante, ricordando che un barile sono 159 litri, che un dollaro vale 1.30 euro, ed è appunto in litri ed euro che noi paghiamo: 





1 commento:


  1. Insomma di petrolio ce n’è troppo, il suo prezzo era troppo alto, un prezzo speculativo, e siamo in una fase di netta deflazione.


    Non essendoci nessun " libero mercato" del petrolio il prezzo speculativo e' sempre fissato dai "futures" cioe' dalle grandi banche " angloamericane" in combutta con le grandi societa' petrolifere e gli sciecchi ..insomma tutto il "sistema dollaro" che ha ovviamente tutto l' interesse a tenere il prezzo alto e quindi avrebbero continuato tranquillamente cosi' , se ad un livello strategico piu' alto ( e qui sta il " complotto") qualcuno non avesse recentemente deciso di " sgonfiarlo" nell' ambito della guerra ( per ora solo economica) portata dall "occidente" ad un certo numero di "canaglie petrolifere" ( venezuela , iran e soprattutto russia) che non hanno alcuna intenzione di sottostare al "sistema dollaro".

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