domenica 28 dicembre 2014

Scalfari nei panni di Bellarmino


Scrive Scalfari:

Qualche tempo fa, prendendo spunto dalle parole pronunciate da papa Francesco che giudicava la povertà come il più grave male che affligge il mondo degli umani, dedicai il mio articolo a quel tema il quale non si limita a dividere gli abitanti del nostro pianeta in ricchi e poveri. Da questa (crescente) diseguaglianza nascono una serie di altri malanni: la sopraffazione, le più varie forme di schiavitù sia pure chiamate in modi diversi, l'invidia, la gelosia, la corruzione, il malgoverno, le rendite parassitarie e perfino guerre e sanguinose rivoluzioni.

Che cosa generi questa “crescente diseguaglianza” e i conseguenti “malanni”, quali “le più varie forme di schiavitù sia pure chiamate in modi diversi”, né un prete, per quanto di vertice, né un decano dei giornalisti, potranno dircelo data la loro posizione sociale e la relativa falsa coscienza.

E pare che ciò non abbia a che fare con il fatto che una classe sociale, in quanto proprietaria della terra, delle risorse e dei mezzi di produzione, si appropria di gran parte della ricchezza socialmente prodotta; bensì con l'invidia, la gelosia, la corruzione, il malgoverno, le rendite parassitarie, in buona sostanza con la cattiva indole umana. Così come la crisi economica e sociale non pare abbia a che fare con le contraddizioni del capitalismo, ma con la cattiva gestione politica e finanziaria del sistema, con qualche speculatore, oppure con la resistenza dei sindacati che, non cogliendo la realtà dei processi in atto, si oppongono alle misure per la "crescita" (dei profitti).

*

Nell’antichità, il più decisivo freno allo sviluppo tecnologico non fu solo il fatto che la manodopera schiavile costava poco, ma soprattutto che la produzione era limitata in generale al consumo immediato e non piccola parte della distribuzione del prodotto avveniva in larghe forme di quello che oggi chiamiamo welfare. Grossomodo la formazione del latifondo italico in epoca romana aveva anche queste motivazioni, e così poi l’economia curtense, la signoria feudale, ecc..

Ciò che mancò ai padroni d’allora era l’interesse a risparmiare manodopera e di allargare la produzione, creare mercato per i loro prodotti. Essi, in generale, non investivano il proprio denaro nella produzione per ricavarne un profitto e da questo generarne altro, l’accumulazione per se stessa, all’infinito.

Per contro, quello che definiamo come capitalismo comportò una rivoluzione: si passò da una produzione prevalentemente basata sui valori d’uso e il consumo immediato a un tipo di produzione basata sul valore di scambio e dunque sul commercio allargato.

In un modo di produzione siffatto, chi investe il proprio capitale nella produzione ha come fine precipuo e assoluto quello di ricavare un profitto attraverso la vendita del prodotto, e perciò ha interesse non solo ad allargare la produzione e dunque il commercio per le proprie merci, ma nel farlo ha anche e soprattutto l’interesse a risparmiare lavoro (*).

Meno lavoro è richiesto nel produrre una data quantità di merce, minore è il costo per la sua produzione; dunque meno lavoro s’acquista per produrla e più essa diventa competitiva sul mercato; meno lavoro è pagato, maggiore è il profitto. Ecco dunque perché il capitalismo ha tutto l’interesse a sviluppare tecniche e tecnologie per risparmiare lavoro (**). Il capitale si appropria della scienza e della tecnica non in quanto “scienza del capitale”, come potrebbe pensare un sedicente “marxista”, ma in quanto scienza, e ne determina gli usi e gli indirizzi nel processo di valorizzazione.

E fin qui, più o meno, sono d’accordo anche gli specialisti che operano nel settore delle ideologie sociali, sia che si tratti di preti, giornalisti, filosofi, economisti, sociologi, psicologi, cattedratici, politici, eccetera.

E però, nel duplice carattere della merce, ossia di essere allo stesso tempo valore d’uso e valore di scambio, risiede la contraddizione fondamentale del capitalismo (qui e anche qua). E su questo punto gli asini possono solo ragliare in cambio della carotina.

Non un solo ideologo borghese, fosse pure un economista (anzi, in tal caso è peggio), si prende la briga d’indagare in che cosa consiste precisamente tale contraddizione. Eppure non dovrebbero affaticarsi tanto poiché il lavoro d’indagine è già stato fatto, lo trovano pronto, già bell’è scodellato.

Per uno di quegli strani casi – ma non inspiegabili – della storia, tale analisi e le scoperte cui essa ha condotto, sono tenute dalla scienza borghese in non cale. A motivo è adotto facilmente il fatto che tali scoperte teoriche costituiscono la base di un’ideologia politica tesa a sovvertire l’ordine sociale esistente. E tuttavia questo di per sé rappresenta solo un pregiudizio d’ordine politico e ideologico e non già la causa principale del rigetto.

Pensavo di rendere la cosa facendo ricorso a un’analogia: quella tra la posizione della Chiesa cattolica a riguardo di Copernico e Galileo, ossia il fatto che l’eliocentrismo si scontrasse con la lettura delle sacre scritture (la vulgata rappresenta in tal modo così banale il contrasto tra Bellarmino e il Pisano). In tal caso si metteva in discussione la centralità dell’uomo nell’universo quale creatura privilegiata di Dio, si poneva in contraddizione scienza e fede.

Le scoperte scientifiche marxiane da un lato mettono in luce le contraddizioni su cui poggia il capitalismo quale forma economica transeunte, dall’altro esse assumono rilievo rivoluzionario poiché, nel mostrare la falsità e l’ipocrisia dei rimedi con i quali la borghesia tenta di salvarsi a spese dell’umanità intera, indicano la possibilità per i produttori associati di regolare razionalmente il ricambio organico con la natura e cioè di portare l'economia sotto il loro comune controllo invece di essere da essa dominati come da una forza cieca.


(*) Qui si prescinde dal fatto che il capitale per operare in tal senso ha bisogno di condizioni sociali nuove e particolari, a cominciare dal fatto che il lavoratore deve presentarsi sulla scena formalmente libero ma costretto a vendere la propria forza-lavoro per sopravvivere e riprodursi.


(**) Qui si prescinde dalla capacità di scienze e tecnica di trascendere i sistemi sociali da cui sono prodotte divenendo forze produttive e patrimonio comune dell’umanità.

4 commenti:

  1. Fa così bene ripassare i fondamentali. Merci beaucoup, Madame.

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    1. fa bene avere lettori come te, almeno così non i chiedo: per chi cavolo l'ho scritto?

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  2. Ti ho linkato su facebook. E' un piacere leggerti: NON SONO SOLO IO UN MARXISTA. Spieghi bene, usi bene l'odio di classe che rendere tutto il discorso fluido e spontaneo. Anch'io scrivo meglio se sono furente. E lo sono, non lo sono mai stato come ora. Il capitalismo è contraddizione in essere, o meglio, è l'irrazionale in essere. Tutto ciò mi rende folle, ma una pazzia che solo un savio può esprimere. Essere savi in un mondo folle, è da pazzi...Ti manca l'azione, mia cara. Quando? Saluti rossi.

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