mercoledì 27 maggio 2015

La prima ragione del grande casino


Altro che nuovo ordine mondiale, le tensioni, il disordine e la violenza stanno rivelando uno scenario per il XXI secolo dove non vige più alcuna norma comune se non la legge del più forte. Il presente e il futuro ci spaventano poiché tutto ciò che abbiamo conosciuto in termini di sicurezza e stabilità individuali e collettive appartiene al passato. Gli stessi Stati nazionali non sono più in grado di garantirsi unitariamente come tali. Siamo a un cambio d’epoca di cui non riusciamo a cogliere molte delle implicazioni dei processi in atto. Abbiamo a che fare con frammenti di realtà, il resto non possiamo decifrarlo anche perché sprovvisti della necessaria curiosità che sola potrebbe fornirci qualche codice d’accesso.

Ciò che condanniamo non lo conosciamo, e ciò che approviamo ci guardiamo bene dal conoscerlo effettivamente. Del resto, di politica, che non sia solo un prendere posizione, pochi s’interessano e sono ancor meno quelli che sbirciano di politica internazionale. Ecco dunque che l’adesione della nostra coscienza spettatrice a tutto ciò che ci viene sommariamente e propagandisticamente raccontato diviene pressoché totale. Vale forse un esempio di raffronto tra la nostra epoca e quella precedente: quelli che allora si dicevano contro il fascismo andavano in Spagna a combatterlo, oggi ci aspettiamo che il “nemico” siano sempre gli altri a sfidarlo.

Ad ogni buon conto, per rendere ancora una volta le cose commestibili al senso comune, dirò che il problema dei problemi consiste nel fatto che il capitalismo americano ed europeo non riesce da molto tempo ormai a produrre profitti in casa, vale a dire una massa di profitti proporzionale agli investimenti, e perciò ha dovuto e deve andare all’estero. Questa è stata la prima ragione del grande casino nelle nostre società e da qui è venuta la più forte spinta a quella che chiamano globalizzazione. La classe dei proprietari che possiede anche gli Stati ha fatto in modo che essi raggiungessero degli accordi per i quali le imprese potessero realizzare i loro scopi demolendo o riducendo le antiche barriere.

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Trent’anni fa nessuno avrebbe potuto immaginare un conflitto intermusulmano tra sciiti e sunniti come l’attuale che sta sconvolgendo e disintegrando il Medio Oriente. L’avvento del khomeinismo in Iran e l’uso del radicalismo islamista da parte dell’Arabia Saudita non sono solo il prodotto delle circostanze, ma di una visione strategica americana e occidentale di corto respiro (quella israeliana è nota) e che ha origini molto lontane nel tempo, cioè da quando si decise di spartirsi la carcassa dell’impero ottomano.

In quest’area, la più instabile del pianeta, sembra scongiurata al momento una corsa alle armi atomiche, ma un dato dovrebbe far riflettere: Teheran è passata dalle iniziali 130 centrifughe per l’arricchimento dell’uranio nel 2003 alle attuali 19.000. L’accordo raggiunto per 15 anni è della loro riduzione del 60 per cento, cosa che però non preclude all’Iran di poter predisporre un ordigno nucleare in termini di mesi, massimo un anno. Ad ogni buon conto sembra un buon accordo e che possa accontentare l’Arabia Saudita (ovvio che non piaccia ai falchi di Israele).

La Siria, alcuni anni fa, si proponeva di diventare, con la Turchia, l’Iran e l’Iraq, l’intersezione obbligatoria tra il Mediterraneo, Caspio, Mar Nero, e Golfo Persico. Tali legami si sarebbero poi dovuti estendere al Libano e alla Giordania, e in tale scenario la Siria avrebbe funto da punto di accesso per i paesi europei per i mercati di tutto il mondo arabo e dell'Asia occidentale. Ali Khamenei benedisse tale strategia e nel maggio 2010 l’allora presidente russo Dmitry Medvedev si disse d’accordo. Evidentemente il progetto non piaceva ad altri.

Il progetto dei Tre Mari, vale a dire Caspio, Nero e Mediterraneo, delineava il coinvolgimento della regione del Mar Nero, ossia lo spazio strategico che comprende Romania, Bulgaria, Turchia, Armenia, Azerbaigian, Georgia, Russia, Ucraina, e Moldova. Anche la Commissione europea era interessata al progetto e anzi, per parte sua, l’aveva finanziato con il 7° Programma quadro che vedeva coinvolti quattro paesi dell'UE (Estonia, Francia, Italia, Spagna) e quattro paesi non UE (Azerbaigian, Islanda, Turchia, Ucraina). Anche questo progetto non piacque a tutti.

Altra questione di grande rilievo riguarda la Cina, la sua trasbordante iniziativa strategica e geopolitica a 360 gradi. Il progetto di una nuova “via della seta”, dopo quella marittima, prevede un corridoio economico Pakistan-Cina (“One Belt, One Road”) con investimenti in Pakistan di circa 37 miliardi di dollari in progetti a opera delle grandi aziende di Stato cinesi e 10 miliardi di dollari per altre infrastrutture. Chiaro che ad essere scontenti sono ovviamente gli Usa, storici alleati del Pakistan. Quanto all’India, non bisogna dimenticare che essa è il secondo azionista e co-leader con la Cina della Banca Asiatica d'Investimento per le infrastrutture (AIIB).


Insomma, abbiamo di fronte un quadro internazionale molto complesso e in rapida evoluzione. A noi però queste cose non interessano, ci sentiamo l’ombelico del mondo, mitica Thule che s’accorge dell’esistenza degli altri solo quando arrivano i barconi dal Nord Africa e gli arabi acquistano grattacieli a Milano, oppure quando i cinesi fanno shopping di griffe e squadre di calcio. Per il resto siamo impegnati diuturnamente con qualche campagna elettorale per decidere chi si occuperà della semestrale riforma delle pensioni e della promessa riforma del fisco, così come della biennale rivoluzione della pubblica amministrazione e del secolare problema della scuola.

1 commento:

  1. Leggere questo blog, è un toccasana per me, anche se quello che leggo, non sempre mi piace, anzi, forse non mi piace mai quello che leggo. Metafora: grosse nubi all'orizzonte si addensano, ma noi ci giriamo dalla parte del sole.

    Ciao, Franco.

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