mercoledì 17 giugno 2015

La lotta di Casse


C’è una vicenda in corso che dovrebbe tenerci incollati al televisore dalle Alpi ai Peloritani e invece non se ne sente proprio il bisogno. Si tratta delle grandi manovre che hanno per oggetto la Cassa depositi e prestiti, a tutti gli effetti una vera e propria banca. Che cos’è la Cdp? In breve e sostanzialmente si tratta di una banca che investe i risparmi che raccoglie e gli affida Poste Italiane, vale a dire la parte bassa del risparmio. Risparmio popolare ma cospicuo se nel 2013 la Cassa ha collocato 173 miliardi di euro provenienti dal risparmio postale nel suo conto corrente presso la Tesoreria dello Stato.

In pratica è un modo per finanziare il debito pubblico, la Cassa presta al Tesoro i soldi che Poste Italiane raccoglie ricavandone un interesse non proprio infimo: nel 2013, prima del picco deflazionario, il Tesoro riconosceva alla Cassa un interesse del 3,4 per cento, non proprio da buttar via. La Cassa ha riconosciuto a Poste circa 1,7 miliardi in commissioni per la montagna di soldi nostri che ha ricevuto in gestione, cioè appena lo 0,7%. Sennonché la Cassa appartiene al Tesoro, ma anche a delle fondazioni bancarie che in tal modo si dividono il cospicuo dividendo. Anche Poste è del Tesoro, ma ora sta per essere collocata in Borsa.

Insomma un bel giro di soldi e d’interessi, una cosa su cui veder chiaro, che ci dovrebbe interessare direttamente, che può essere spiegata, con i dovuti modi, e compresa da un ragazzino di prima media ma è invece una cosa, come dicevo, della quale il popolo asino che lavora e paga sembra non dover essere interessato. Compito dei talk show è di tenerci occupati in questioni di ben altro momento, oppure di insegnarci tutti i trucchi e le raffinatezze della salade niçoise.



Ci ricordiamo dell’Eni, quella del già Enrico Mattei. Lì oltre a molti soldi c’erano in ballo molti posti di lavoro. Ebbene, nel 1995, quando è scattata la prima fase della privatizzazione, l’ENI registrava un record del bilancio consolidato del 1994 che toccava un’utile netto di 3.215 miliardi, il più alto di tutta la sua storia e uno dei più alti in Italia. E ciò nonostante si decise per l'operazione di privatizzazione, la quale fu rivolta all’intero mercato azionario con quotazioni a Milano, New York, Londra, Tokyo, con il coordinamento del Credit SuisseFirt Boston.


Per rendere più appetibile il boccone, si era provveduto, gridando al lupo e saccheggiando i conti correnti (Amato Giuliano), svalutando la lira e diffondendo il panico, sparando ad alzo zero sul “pubblico” e magnificando il mercato e le progressive meraviglie del privato, a ridurre in pochi anni il personale dell’Eni del 33,5 per cento (era di circa 84.000 occupati e all’estero impiegava circa 25.500 dipendenti). Poi seguirono altre fasi del collocamento delle azioni. I soldi incassati dallo Stato dovevano ridurre il debito pubblico. S’è visto.

3 commenti:

  1. Ricordo la svendita di ENI, e mi chiedo che senso abbia per un qualsiasi imprenditore (in questo caso lo Stato) vendere una delle poche aziende di stato con i conti in positivo e tenersi strette quelle in negativo.
    Se poi pensiamo ai periodici "ultimi sacrifici" per salvare Alitalia...

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  2. Eppure l'Eni qualcuno lo assume sempre alla bisogna.

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    1. La decisione, ha detto Pistelli, è nata “chiacchierando con l’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi"

      vedi, ha superato brillantemente il colloquio di lavoro: qualche chiacchiera e assunto alla vicepresidenza Eni

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