martedì 10 novembre 2015

Un sistema economico che le possiede


Chi ha mai sentito parlare del lago Ciad (o Chad) alzi la mano. In pochi sanno della sua esistenza, come per tutto il resto di cui un popolo di analfabeti non si cura. È un lago africano la cui estensione e profondità varia, da sempre, di anno in anno. È alimentato dal fiume Chari che vi apporta il 95% dell'acqua, mediamente 40 miliardi di metri cubi annui dei quali il 95% si perde in evaporazione. Ad aggravare la situazione negli ultimi decenni c’è la siccità e i massicci prelievi per le monoculture intensive.

Di questo lago (ma si potrebbe dire a lungo – per le stesse ragioni – del nostro Trasimeno) accenna nel suo interessante articolo Gian Antonio Stella, che consiglio di leggere. Parla di acqua, di come ne è fatto uso e di come si spreca. L’articolo, apparso ieri a pagina 21 del Corriere della Sera, era stato richiesto a Stella dall’Unesco a scopo di una certa iniziativa e poi non se n’è fatto più nulla, per via – dice lo stesso Stella sul Corriere – della Cina, delle multinazionali, eccetera.

Eh sì, le multinazionali. Nell’articolo Stella ne cita addirittura indirettamente una: la famigerata Exxon, proprietaria della petroliera Valdez. Ma non si spinge più in là. Stella se la prende con tutti, a cominciare con gli “gli uomini dissennati, famelici e ciechi” e per finire con quei “maledetti che sprecano l’acqua potabile, come in Italia”, passando per la ‘ndrangheta e le navi cariche di rifiuti tossici affondate. Denuncia sacrosanta.

Mai però, anche in questo caso, è citato il ruolo del modello economico, non viene in mente di pronunciare la parola tabù: capitalismo. Si estrapola con eccellente precisione, si scrive della Exxon Valdez, una superpetroliera che ha versato in mare oltre 40milioni di lt di greggio in Alaska (nave rinominata poi Sea River Mediterranean!), ma delle responsabilità a monte del depauperamento idrico, ossia delle responsabilità di un sistema economico anarchico e demenziale non viene detto mai nulla.

Tanto per dire: si spendono decine di miliardi per mettere in piedi dei baracconi con il tema pretestuoso “nutrire il pianeta” laddove quattro multinazionali controllano il 70 per cento della produzione cerealicola. È stato un modo come un altro per celebrare il sistema dominate e la falsificazione insensata degli alimenti, salvo poi sui media dispensare paure nevrotiche sul consumo di questo o quell’alimento ingollato in quantità da suicidio.

Articoli e libri contengono solo denunce generiche, contro gli “uomini” maledetti, ingordi e ciechi, insomma le solite chiacchiere avvilenti contro questo o quell’operatore economico preso in castagna. Nell’insieme si tratta di una critica laterale che non punta mai a dire qualcosa a proposito dello stadio supremo della produzione mercantile, sull’impossibilità della continuazione del funzionamento del capitalismo.

Questa è l’epoca che ha ogni mezzo tecnico per alterare in modo assoluto e definitivo le condizioni di vita sul pianeta, ma è anche l’epoca che ha tutti i mezzi necessari di controllo e previsione per misurare con esattezza e in anticipo dove ci sta portando un’economia lasciata libera di crescere senza limiti e senza una programmazione. Un’economia che ha come scopo assoluto ed esclusivo il profitto, l’accumulazione fine a se stessa.

Ed ecco dunque all’opera quegli imbecilli, poiché tali sono, premiati con il Nobel per l’economia, che sulla prima pagina del Domenicale de Il Sole 24ore fanno notare, con la solita gravità solenne, come l’insieme della popolazione mangia di più oggi che un secolo fa. Chiaro che essi non si faranno mai portatori del radicale problema della possibilità materiale di esistenza del mondo nel proseguire in un tale movimento di crescita, disuguaglianza e inesausto spreco.


E tale impossibilità di proseguire oltre in tale movimento senza garantirsi la catastrofe è già dimostrata, e tuttavia, come si sente e si legge, si confida in un’azione politica riformatrice e in una scienza che dovrebbero porvi un qualche rimedio, ma una tale politica e una tale scienza possono soltanto accompagnare verso la distruzione un sistema economico che le possiede.

2 commenti:

  1. Riflessioni simili balenavano per la mia testolina ieri, osservando una protesta nelle mie zone di Coldiretti e Confagricoltura (a braccetto con l’immancabile ministro Martina e l’assessore della Regione Lombardia Fava) presso le sedi italiane della più grande multinazionale lattiero-casearia al mondo, di cui probabilmente avrà avuto notizia.
    In particolare, i miei modesti pensieri (e, soprattutto, la mia ilarità) sono state provocati dallo striscione rivendicativo: «PREZZO “GIUSTO” PER IL “GIUSTO” LATTE» .
    In quelle semplici virgolette che incorniciano la parola “giusto”, c’è già una implicita ed inconsapevole auto-risposta alle richieste gridate a gran voce dalla massa di allevatori ammansiti dai pifferai magici di cui sopra.
    Prodigarsi in simili proteste facendosi rappresentare da chi ha già ampiamente dimostrato di essere a sua volta dipendente degli interessi del destinatario dei propri strali, non può che svelare ancora una volta tutta l’immaturità politica e l’assenza di coscienza della propria posizione all’interno del contesto sociale.
    I Signori del diktat “produttività – competitività – crescita”, che provvedono ad adeguare il prezzo (“giusto”?) del capitale umano sul mercato del lavoro, fingono di non conoscere le leggi del mercato stesso: magnifico!
    Associazioni come Coldiretti, intanto, fottono l’allevatore così come i tre sindacati confederali hanno fottuto l’operaio.
    La colpa appare solo della multinazionale straniera brutta e cattiva, colonizzatrice del sacro suolo italico.
    Sembrano essersi già scordati, gli allevatori, di come, già alla fine degli anni ’90, si ritrovarono a versare centinaia di litri di latte in autostrada per la stessa motivazione, in un mercato che vedeva ancora diversi produttori italiani impegnati in contrattazione (tra cui fulgidi esempi di sana imprenditorialità italica quali Parmalat…).

    Esito perciò scontato: mediazione per cedere qualche centesimo in più al litro.
    Tutti a casa a testa bassa, mugugnanti e lamentosi.
    Che, alla fin fine, le leggi del mercato fanno pur sempre comodo a chi si sente piccolo borghese dentro.
    Sia mai che il camionista che lavora 12 ore al giorno per trasportare il mio prodotto chieda un prezzo “giusto” per la sua prestazione.
    O che il mio mungitore indiano chieda il prezzo “giusto” per le sue quotidiane levatacce notturne.
    Alla prossima battaglia della miseria, si vedrà.

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    1. oh come cogli nel giusto (tu sì nel giusto) le vere questioni quando ti riferisci a chi di fatto munge il latte e guadagna una miseria e chi invece munge il sistema facendo affari. perfetta anche questa:
      Prodigarsi in simili proteste facendosi rappresentare da chi ha già ampiamente dimostrato di essere a sua volta dipendente degli interessi del destinatario dei propri strali, non può che svelare ancora una volta tutta l’immaturità politica e l’assenza di coscienza della propria posizione all’interno del contesto sociale.

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