lunedì 29 febbraio 2016

Siamo ancora a don Milani


«Sarà almeno qualche decennio che da queste parti non si sente, dico per dire, un pubblico elogio della grammatica o della bocciatura nelle aule scolastiche … ».

Proviamo dunque a discuterne pacatamente, non con “dei miserabili slogan, dei brandelli smozzicati di pensiero”, ma con dei dati e dei giudizi ponderati, come si fa in “Francia, in Inghilterra, negli Stati Uniti”.

Prima ancora di parlare di bocciature, però, affrontiamo il tema della dispersione scolastica, che è poi l’altra faccia della medaglia (vorrei dire la vera faccia della scuola di classe in Italia, ma mi trattengo, non vorrei passare per “anarco-insurrezionalista”). Anzitutto per evidenziare che l’Italia, con una media del 15% di abbandoni scolastici, è ai primi posti (almeno in questo!!) nelle classifiche dell'Unione Europea.




«Negli Anni Sessanta don Milani sosteneva che il problema della scuola è il ragazzo che si perde. A 50 anni di distanza credo che potremmo fare la stessa riflessione».

A chi appartiene questa riflessione, pardon, questa invettiva estremista? Ricordiamoci il monito dell’anticonformista di cui sopra, quello che vuole parlare della bocciatura nelle aule scolastiche senza alcun conformismo e buonismo:

“L’estremismo non fa che portare alle estreme e più aggressive conseguenze le sue banalità e le sue idee […] Perché – sostiene – da noi esiste un vasto brodo di cultura che, seppure involontariamente, nutre di continuo gli slogan più esasperati alimentando ogni giorno questa cieca irragionevolezza, questo pensare in bianco e nero”.

Quando sentite parlare di “brodo di cultura” vuol dire che l’intellighezia avverte la necessità di stringere il discorso, di porlo su basi più avanzate, “della fede religiosa”, “dell’eroismo militare”, in modo che l’amor di patria possa far da viatico all’armiamoci e partite. Non prendetela come una battuta!

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Schiavi


Il voto complessivo delle primarie in South Carolina per i due grandi partiti, che si sono tenute a una settimana di distanza l’una dall’altra, ha avuto 999.000 elettori. Nel 2008 gli elettori complessivi furono 978.000, con 532.000 per i democratici e 446.000 per il partito repubblicano. Quest’anno, solo 361.000 elettori hanno votato nelle primarie democratiche (più di un terzo in meno), mentre 738.000 hanno votato nelle primarie repubblicane, vinte dal signor Donald Trump.

A votare per i democratici sono stati in prevalenza i neri, mentre per i repubblicani sono corsi a votare in massa i bianchi (40 per cento in più che nel 2008). A me pare che la guerra civile, seppur con mezzi meno cruenti, non sia mai cessata.

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domenica 28 febbraio 2016

La tempra democratica di sinistra


Devo dire, con molta franchezza, che invidio la lucidità di cui dà prova Eugenio Scalfari alla sua età, anche se fin troppo spesso, negli ultimi anni, ha dato assai spazio al suo egocentrismo così come troppa pubblicità alle angosce per il suo game over. Ad ogni modo conserva e dà prova di una rara lucidità politica, ovviamente di marca tutta borghese, e le sue parole non vanno trascurate perché possono offrire il senso di una fase e anche di una prospettiva.

Un esempio di tale lucidità si può trarre da questo suo – non nuovo – auspicio:

Una nuova destra non populista e non berlusconiana è un tentativo ancora in una fase iniziale che sarebbe da incoraggiare, […] non solo per affrontare in forze tempi assai oscuri (quelli attuali non sono oscuri ma neri come l'inchiostro) ma anche per aiutare la nascita d'una destra moderna alla quale in un futuro auspicabilmente prossimo si fosse contrapposta una sinistra riformatrice.

Dove Scalfari possa rintracciare differenze tra “sinistra” e “destra” in questo deserto d’idee generali, non è questione che possa appassionare. Peraltro andrebbe qui detto, ma non solo ad uso di Scalfari, che la classe politica non è di per sé una classe sociale, bensì una categoria sociale differenziata ed articolata in strati e frazioni di classe diverse, e così si può comprendere perché – diversamente dal Novecento – “le posizioni sono molte, la politica è estremamente frazionata non solo in Italia ma in tutta Europa”.

venerdì 26 febbraio 2016

Una questione tutta politica


In questo blog esprimo dei punti di vista assunti da un mosaico di piccoli studi, di piccole osservazioni che, pur difettose sotto vari aspetti, non credo possano mancare di un qualche interesse. Senza aspirare a tesi troppo specialistiche, cosa che non è nelle mie corde, e senza velleità d’innalzare colonne corinzie in un’epoca in cui s’apprezzano di più i pilastri di cemento.

Il mio scopo, almeno nelle intenzioni, è quello di rendere potabili al comune lettore alcune cose che oggi in tanta parte non lo sono. E soprattutto di suggerire di non avere ripugnanza preconcetta verso taluni studi e concezioni che purtroppo in passato sono stati malintesi e adoperati a modo di dottrine foriere di drammatici “abbagli”.

Spesso m’interrogo sull’utilità di tale mia pretesa (un po’ folle, l’ammetto), e tuttavia nella vita di ogni anima comune sono molte di più le cose intraprese che non hanno un utile e un seguito, rispetto a quelle, viceversa, che producono frutto.

Per contro vi sono fatti d’ordine molto particolare che a me, disponendo di un’impostazione marxista, non interessa discutere. Per esempio manifestazioni e condizioni dell’economia che sono trattate in altri blog da specialisti ai quali non nego migliore frequentazione e maggior pratica con certi fenomeni.

Poi ogni tanto questi specialisti dell’interpretazione borghese dell’economia scendono dall’iperuranio per descrivere asetticamente solo e tutta la verità di cui sono custodi, dicendo apertis verbis che, dopo l’errore della decontribuzione a scadere, “saremo costretti al contratto di lavoro aziendale, ed al gradone all’ingiù nelle condizioni retributive che esso implica”.

Solo in tal caso accorderanno al governo i loro “due cent” di credito, solo perché sia imposta per legge la contrattazione a livello aziendale e dunque il taglio dei salari, spacciando la cosa, come buoni giudici della realtà, per un portato necessario dell’economia.

In realtà l’economia non c’entra assolutamente nulla se non nella misura in cui si tratta di trasferire salario dalle tasche dei lavoratori a quelle dei padroni (e dei lacchè al loro servizio).

Quella di ridimensionare la quantità di redditi finalizzati alla riproduzione delle classi lavoratrici e d’imporre una diversa ripartizione del plusvalore, è in realtà non una mera descrizione ma un’aperta proposizione tutta politica e dunque ideologicamente orientata per imporre alle classi subalterne gli interessi della borghesia.


E poiché si tratta di una questione tutta politica sarebbe invece il caso di mettere gli occhi sul fatto che a pagare le imposte ormai sono rimasti, oltre ai lavoratori dipendenti, solo la piccola e media azienda, mentre lo Stato e l’UE permettono con le loro leggi – o con le asimmetrie esistenti tra le leggi dei diversi Stati europei – alle multinazionali di evadere le imposte alla grande.

Ragazzi



Per cercare un lavoro è necessario dichiararsi anzitutto "ragazzi". A qualunque età.

giovedì 25 febbraio 2016

Sempre e comunque nel cuneo a chi lavora


Il caustico e simpatico titolare di Phastidio (“un piccolo blog”, dice), il quale – per amor suo – si smarca dalla canea precisandosi come “un non-economista”, insiste oggi con una sua tesi, una proposta che egli ritiene obbligata. Avversario della riduzione del cosiddetto “cuneo fiscale sul lavoro” per come è stata realizzata, egli sostiene invece la necessità di ridurre i salari per mezzo di contratti aziendali. E ciò allo scopo, evidente, di diminuire il “costo del lavoro”, quindi di rendere il prezzo delle merci prodotte più competitive.

Scrive Phastidio in netta contrapposizione al Jobs act, alla sua dichiarata funzione e al rischio che, scadute le decontribuzioni, finiscano le assunzioni permanenti:

Traduciamo a lume di realtà: l’unica cosa che andava fatta, da inizio legislatura, era una riduzione immediata, strutturale, permanente del cuneo fiscale. Ad esso andava destinata da subito ogni risorsa reperibile. Invece si è scelta la via bizzarra dell’intervento “al margine” e congiunturale, e ad esso sono state immolate imponenti risorse.

I motivi di ragione di questa tesi sono quelli più volte ribaditi da Mario Seminerio. Di mio vorrei dire a tale riguardo, scusandomi per l’alto rischio di pleonasmo, che i denari che il padrone versa come oneri contributivi e simili, non sono denari suoi. La quota di valore, tradotta poi monetariamente e costitutiva di quei versamenti, è prodotta dall’operaio stesso. È salario che il padrone invece di corrispondere all’operaio versa quale copertura per previdenza e assistenza allo Stato, e ciò è reso pacifico dal fatto che le somme sono trattenute in busta paga.

[...]


In un mondo scosso da incredibili atti di violenza terroristica, attraversato da manifestazioni d’intolleranza razziale, d’integralismo religioso ed etnico, appare evidente la pochezza etico-culturale delle classi dirigenti. Senza una sintesi di un’idea generale che non sia “propaganda politica e spettacolarizzazione che tutto divora”, ciò dà il tono alla nostra epoca, ed è tra le cause non ultime della precarietà della nostra civiltà.

Se questo dato vale per l’insieme, tanto più esso marca la situazione italiana, cioè quella di un paese governato da incompetenti quando non da veri e propri mafiosi (nell’accezione ampia ma anche no), e che mostra tutti i difetti comuni di ogni sistema “liberaldemocratico” ma nessuna delle qualità che pur si possono rintracciare in termini di trasparenza, competenza ed efficienza in altri paesi. Senza farla lunga con le chiacchiere, mi riferisco qui alla condizione per la quale molti giovani devono nascondere la loro umiliazione nell’emigrazione, eccetera. Specie quei giovani (e meno giovani) a cui poi all’estero si riconoscono competenze e se ne valorizzano talento e passione.

A tale proposito consiglio di leggere, lentamente e integralmente, questo intervento di Elena Cattaneo a riguardo delle modalità di selezione dei progetti e di aggiudicazione e impiego delle risorse per la ricerca scientifica.


mercoledì 24 febbraio 2016

Dalla campagna di Borodino a quella di Mogliano Veneto



Quello stesso martedì grasso 13 di febbraio 1883, in cui a Venezia moriva Richard Wagner, a Londra Karl Marx trascinava le ultime settimane della sua travagliata vita alle prese con “un orribile mal di testa”. A Treviso era giorno di mercato. Vi confluivano da tutta la provincia migliaia di contadini, affittuari e mezzadri che della nerissima miseria in cui erano costretti a vivere non ne potevano proprio più. Tra essi quattro capifamiglia, che anche se non avevano ben chiaro il concetto, stavano per dar luogo ad un episodio della lotta di classe, uno scontro tra siori e poareti.

Arrivò in carrozza anche Giuseppe Da Re con un suo gastaldo, Giacomo Perocco, uno dei più solerti esecutori delle nequizie del suo cinico e spietato padrone. Chi era esattamente questo Da Re? Una sera di undici anni prima, era il 1872, in una tettoia ai margini della laguna, “nelle risaie di Lito Marino”, 250 tonnellate di fieno di sua proprietà presero fuoco e andarono distrutte, un falò che fu visto a Venezia e richiamò, condotti sulle barche, non pochi curiosi.

Da Mestre, schiumante come uno s’cioso, arrivò su un calesse il Da Re, imprecando contro la barca a vapore dei pompieri che s’era incagliata nella barena, e soprattutto all’indirizzo dell’Internazionale. Tutta colpa – così disse – “di quella terribile Società” che dopo aver messo a soqquadro Parigi stava mettendo disordine ovunque “per vie occulte”. E a confermarlo nelle sue certezze sull’opera dei sovversivi fu un successivo incendio, divampato due anni dopo e che interessò un suo grande pagliaio vicino alla piazza di Favaro (sulla strada che da Mestre porta a Treviso).

martedì 23 febbraio 2016

Anche allora a farne le spese fu la Grecia e il patrimonio storico


Cara Europa,
hai fatto della forzata e stretta convivenza tra vicini la tua forza, spingendoti ad inventare il modo di estrarre valore dalla nicchie sociali più riposte. Ora quella che fu la tua forza ti porta alla tomba. Anche se rantoli e hai ancora la puzza sotto il naso!


                                                                                                            Lozittito

* * *

Dovrebbe far riflettere quanto sta accadendo nell’Unione Europea. Dopo il Regno Unito, toccherà ad altri prendere le distanze, e non penso certo a Mayotte. Ciò dimostra come per perseguire un interesse particolare e obiettivi immediati si mandi – per usare un termine strettamente tecnico – a puttane il lavoro e gli obiettivi di generazioni. A dimostrazione, ancora una volta, che ciò che unisce sono tutt’altro che i principi più alti e gli interessi comuni. In fondo per ogni colpo sparato a Verdun ci fu chi non mancò d’intascare royalty e interessi sul credito, treasury bond e Schatzkammerschein.

Del resto gli esempi storici di tal genere non mancano, anzi, c’è da scegliere caso da caso. Giovedì scorso mi trovai nella Chiesa di Santo Stefano, dove mi reco spesso per riposarmi, a metà percorso del mio lungo tragitto. Nel pavimento c’è una lapide che non passa inosservata, in marmo e bronzo, opera di Antonio Gaspari e Filippo Parodi. Nell’iscrizione incisa in ovale, ben conservata, si legge il nome di Francisci Peloponnesiaci, un titolo a mo’ d’imperatore romano.

Quanto fu vano l’affannarsi di quest’uomo, poi divenuto doge, cioè di Francesco Morosini (1619-1694), e di quelli sotto il suo comando che il 26 settembre 1687, per riconquistare l’ultima colonia veneziana, distrussero il Partenone (dunque, non rammentiamo solo l’orrore degli odierni “califfi”). Il destino dell'antico tempio fu segnato da quello di Venezia, già declinante prima del mutare delle rotte marittime, ossia per causa di scelte politiche e strategiche adottate diversi secoli prima che si compisse tale scempio in Atene.

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lunedì 22 febbraio 2016

Realismo borghese di una editorialista ottimista


La lettera di Andrea Seibel, editorialista di Die Welt, pubblicata da Repubblica (veicolata attraverso la “LENA” e dunque edita in tutta Europa), è molto interessante per comprendere il punto di vista di una frazione importante della borghesia. Il tema trattato è ben riassunto già nel titolo dell’articolo: Gli anni spensierati sono ormai finiti.

Gli anni belli e felici, scrive Seibel, sono stati quelli della caduta del Muro, evento che “significò la fine della mancanza di libertà. Significò giustizia e sovranità”, mentre ora siamo “indubbiamente in crisi”. La crisi, prosegue la giornalista, non è più un’opportunità. E che cos’è allora?

domenica 21 febbraio 2016

Parlamenti: gusci vuoti


Le società storiche finora non hanno mai cessato di definirsi in funzione del movimento di appropriazione privata. E dunque del potere di una classe, di una casta, di individui che si arrogano, in quanto proprietari, del godimento di beni dai quali escludono gli altri. Dall’altra parte, i non proprietari non hanno scelta: essi sono costretti a collaborare per assicurare la propria esistenza fisica, la loro sopravvivenza dipende dalla loro attività nel quadro dell’appropriazione privata. 

Sennonché nello sviluppo del modo di produzione capitalistico i salariati hanno visto man mano ampliarsi e crescere, con l’aumento della produttività del lavoro e con le loro lotte, la cerchia dei loro godimenti e dei loro consumi. Questo fatto ha provocato nei riformatori di ogni latitudine orgasmi captati dai rivelatori interferometrici in tutta la galassia e, pare, anche oltre.

Questi miglioramenti non hanno mutato il rapporto di dipendenza e di sfruttamento rispetto al passato: 1) le condizioni della vendita della forza-lavoro, anche se divenute più favorevoli per il lavoratore, implicano comunque la necessità della sua costante rivendita; 2) il capitalista esige costantemente la fornitura di una determinata quantità di lavoro non retribuito da parte dell’operaio; 3) la ricchezza, come sanno anche i premi Nobel, si amplia anzitutto come capitale.

La gigantesca centralizzazione dei capitali, della quale leggiamo quotidianamente sui giornali, aumenta gli effetti dell’accumulazione e li accelera, e allo stesso tempo allarga e accelera i rivolgimenti nella composizione tecnica del capitale, in ciò aumentando la parte costante a spese di quella variabile (vulgo: una massa minore di lavoro può bastare per mettere in moto una massa maggiore di macchinario e materia prima), e con questo diminuisce la domanda relativa di lavoro.

Questo processo di espulsione della forza-lavoro, che vediamo incarnato nella protesta degli operai davanti alle fabbriche o innanzi alle sedi del governo e del parlamento, crea una disoccupazione di massa che non ha possibilità di essere riassorbita.


sabato 20 febbraio 2016

Coccodrilli



Se stamani si vuole leggere un “coccodrillo” decente sull’opera letteraria del Defunto, bisogna andare sul New York Times. Il nostro giornalismo sa fare solo apologia e marchette, oppure campagne denigratorie e diffamatorie. Secondo come gira il vento. 

venerdì 19 febbraio 2016

[...]



La rete della “critica” del presente è coerente esattamente come lo è quella dell’apologia. Si prenda ad esempio Stiglitz, il fu Gallino, Piketty, eccetera (*). Le attuali fluide varietà ideologiche, riconducibili nella sostanza sempre ad una sola, si vedono riconoscere un ruolo accresciuto, acclarato dal successo delle “loro” idee, in quanto confermano e assicurano che lo spazio in cui si può e ci si deve muovere è quello dato.

Non è nemmeno da escludere di avere un prossimo presidente degli Usa che si definisce socialista!

Tutte le questioni apertamente poste nella società attuale implicano già certe risposte. Non ne sono mai poste di quelle che porterebbero ad altro che a quel tipo obbligato di risposte.

Si prenda ad esempio tutta la sporca faccenda sull’uguaglianza (ci sono pure molti idioti che pongono tale tema alla base della “teoria” di Marx), le pari opportunità, il merito e il suo opposto, ecc. Gli organizzatori dell’attuale società sanno molto bene che il porre questo tipo di domande a risposta obbligatoria e secondo l’estro, oltre a tener occupati, non implica alcun pericolo, alcun turbamento della quiete.

*

Per contro vi sono quelli che assillano affinché si espongano idee e progetti in dettaglio, utilizzabili e convincenti. E perché mai dovrei convincere proprio loro? Se glieli fornissi li ritorcerebbero contro di me come prova del mio utopismo. Anche se di un’altra epoca, non siamo completamente sprovvisti di humour.


(*) A proposito di Piketty, non è straordinario che questo tizio abbia venduto molte migliaia di copie in ogni angolo del mondo di un libro dove critica Marx ammettendo pubblicamente di non averlo mai letto? No, non è straordinario. Proprio per questo è riuscito a scriverlo e a venderne tante copie.

giovedì 18 febbraio 2016

Una legge peculiare del modo di produzione capitalistico


Non c’è opera economica di Marx, ossia di critica dell’economia politica, dove non prenda per il culo Robert Malthus, purtroppo anche lui un acquario, essendo nato il 13 febbraio 1766. Questi scrisse un celebre librino (librone, né ho una copia in 16°) in cui trattava le questioni afferenti la cosiddetta sovrappopolazione (dico cosiddetta poiché non siamo una colonia di topi) “con le leggi eterne della natura, anziché con le leggi naturali puramente storiche della produzione capitalistica”, osservava Marx. Un po’ come si contestano le preferenze sessuali umane richiamandosi a presunti et eterni et normali et, et, et … rapporti di “natura”.

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mercoledì 17 febbraio 2016

La cage


Nonostante l’enorme aumento della produttività del lavoro (ricordiamoci, per favore, che solo il lavoro è produttivo, la tecnologia di per sé non produce un cazzo nulla), nonostante la pletora di merci di ogni tipo e la sovrapproduzione di cui tanto ci si duole, la condizione di povertà riguarda fasce sociali sempre più ampie. Si parla di calo dei consumi, sviando dalla caduta del potere d’acquisto attuata con l’abolizione della scala mobile, il cambio della moneta e la concorrenza spietata cui è obbligata la forza-lavoro! Anche laddove non si tratti di vera e propria indigenza, si ha a che fare con la famosa difficoltà di arrivare alla fine del mese, con la rinuncia di determinati consumi quali per esempio le frutta, le verdure e il pesce fresco. Non è dunque la nostra una società sempre in festa, non tutta e non sempre almeno.

Ebbene le spiegazioni che ci sono offerte – la crisi (che è un effetto, non la causa, e così il suo collaterale: la crisi da debito), la disoccupazione (altro effetto), il debito pubblico (come sopra), la deflazione e la caduta del prezzo delle materie prime (idem), insomma tutto ciò che l’immaginario propagandistico sa escogitare, non ci dicono assolutamente nulla sulla causa fondamentale che produce tali effetti, ossia sulla contraddizione che sta alla base della produzione capitalistica. Si arriva al punto di scrivere amenità simili a queste:

martedì 16 febbraio 2016

Le droghe d'amore


La Venezia del ‘700, libertina e mascherata, tanto cara ai film d’ambientazione storica e agli stereotipi carnascialeschi, quella della vita mondana raffigurata dal Longhi, nascondeva una realtà di povertà diffusa, spesso di miseria, laddove non era raro vedere persino dei nobili squattrinati chiedere l’elemosina. La prostituzione era un fenomeno che forse non aveva eguali in Europa, anche tenendo conto di Parigi e Roma. La carampana, oggi intesa nell’accezione comune di donna anziana e male in arnese, deriva da Ca’ Rampani, nome del palazzo nel quale la Serenissima alloggiò le prostitute non più in giovane età. Alla plebe era lecito prostituirsi, anzi era lo stesso governo a favorire il meretricio. Alle patrizie veneziane invece era proibita la prostituzione, salvo il fatto che ogni nobile donna aveva un suo salotto di società, una piccola corte di personaggi tra i più vari. Ufficialmente il salotto si chiamava casino.

La Repubblica aveva un termometro infallibile – oltre al contributo dei delatori – per misurare il grado di stabilità politica e sociale della città: l’affluenza del pubblico di ogni ceto sociale nei numerosi teatri e il dibattito pubblico che seguiva le rappresentazioni. Come oggi succede per certi programmi televisivi che tengono incollati alla tv per cinque sere di fila milioni di utenti del canone Rai, per la gioia di chi da una simile baldoria ricava di che vivere con larghezza, nonché per la soddisfazione del governo che indisturbato taglia le pensioni alle vedove.

lunedì 15 febbraio 2016

Si muore come sempre (forse)


Sull’ultimo Domenicale de Il Sole 24ore, c’è un articolo a firma del professor Paolo Vineis dal titolo: Si muore come sempre. Nel senso che l’alto numero di decessi segnato recentemente per quanto riguarda i primi otto mesi del 2015 aveva sollevato un certo clamore e le solite sguaiate strumentalizzazioni politica. Da parte mia avevo riproposto la notizia in questo post, in modo credo più sobrio. Il professore cita un paio di articoli specialistici che sembrerebbero dimostrare che l’incremento dell’11,3 per cento della mortalità sia in realtà imputabile ai “picchi influenzali” e “all’alta incidenza di infezioni”, alla “bassa efficacia del vaccino” e all’ondata di calore dell’estate scorsa (e nel 2003?).

A Roma, scrive il Professore, l’incremento invernale ha interessato le fasce anziane e molto anziane (85+ anni) con un eccesso in particolare per le patologie cardiovascolari e respiratorie. Dopo di che cita un secondo articolo comparso nella rivista Epidemiologia e Prevenzione, secondo cui all’aumento “dei decessi sono aumentati anche i soggetti in tarda età: L’aumento è stato prodotto da eventi molto remoti, cioè dagli effetti della prima guerra mondiale […]. Il deficit di natalità nel periodo 1917-20 si è tradotto in un deficit di ultranovenatenni negli anni precedenti il 2015. Quando le coorti di nascita successive al 1920 sono diventate ultranovantenni (cioè ora), si è verificato – rispetto agli anni prima – circa un 40% in più di perosne in quella fascia d’età. Questo fa sì che compaia un 40% in più di soggetti a rischio di morire, e ci si deve aspettare che ci sia  anche un 40% in più di eventi”.


domenica 14 febbraio 2016

Spazio-tempo e dottrine egualitarie


Barnie Sander, il candidato alle primarie del Partito democratico per la corsa alla presidenza degli Stati Uniti, dichiara di essere un socialista democratico. Che cos’è il socialismo democratico? “Il socialismo democratico scrive Sander significa che dobbiamo creare un'economia che funzioni per tutti, non solo per i più ricchi”. L’ideale, sembra di capire, sarebbe far star bene tutti, nell’ambito degli attuali rapporti economici, con 700 grandi corporations che controllano l'80 per cento delle più importanti imprese del mondo. Ed è proprio a queste multinazionali che Sander dice di voler far pagare una “quota equa delle imposte”.

Da chi farà approvare le sue riforme “socialiste” Sander? Quanti operai e salariati vede tra i cosiddetti rappresentanti del popolo, ossia al Congresso? Vengono tutti dalle alte dirigenze, dagli uffici legali e da altri luoghi e categorie del privilegio, legati quindi a grossi interessi economici e professionali. E ciò che vale per Sander e per gli Usa, vale per tutti gli altri.

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venerdì 12 febbraio 2016

Potrebbe sorgervi la domanda ...

Post "tecnico", per giunta di venerdì.

La produzione capitalistica tende continuamente a superare le proprie contraddizioni, ma riesce a superarle unicamente e momentaneamente con dei mezzi che la pongono di fronte agli stessi limiti su scala nuova e più alta.

Avendo il capitale come suo scopo l’accrescimento illimitato della produzione, ossia la produzione come fine a se stessa, pone lo sviluppo incondizionato delle forze produttive sociali del lavoro permanentemente in conflitto con il suo fine ristretto, la valorizzazione del capitale esistente.

Infatti, non bisogna mai dimenticare che scopo della produzione capitalistica non è il processo vitale della società dei produttori, bensì la conservazione e la valorizzazione del capitale, dunque la produzione è solo produzione per il capitale.

Storicamente il modo di produzione capitalistico è un mezzo potente per lo sviluppo della forza produttiva materiale e la creazione di un corrispondente mercato mondiale, ma esso è al tempo stesso la contraddizione costante tra questo suo compito storico e i rapporti di produzione sociali che gli corrispondono.

Ed è proprio su questo punto che cade ogni illusione borghese, laddove si ritenga che tale compito storico di sviluppo della forza produttiva materiale e di creazione di un mercato mondiale possa proseguire indefinitamente. Per altri versi è illusione che il “capitalismo crollerà spontaneamente”, di modo da dover praticare una collaborazione col nemico di classe sul piano del riformismo.

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giovedì 11 febbraio 2016

La stessa libertà che c’è nella migrazione degli uccelli


Negli Stati Uniti sono stati annunciati decine di migliaia di tagli di posti di lavoro sia nel settore industriale e sia nella vendita al dettaglio. Tra le principali aziende ci sono Johnson & Johnson, Norfolk Southern, Yahoo, US Steel e Altria (ex Philip Morris). Wal-Mart chiude 40 negozi, 4.500 licenziamenti, Macy più di 50 negozi, migliaia di tagli di posti di lavoro. Eccetera.

Il peggioramento della crisi sociale produce effetti su ampie fasce della popolazione degli Stati Uniti e non deve quindi sorprendere che alle primarie Bernie Sanders, sedicente socialista, riceva consensi soprattutto tra gli elettori più giovani e a basso reddito. Il crescente consenso per Sanders è un riflesso delle profonde tensioni per le sempre più precarie condizioni di vita delle masse e la sempre più stridente disuguaglianza sociale, salita a livelli inediti.

Tuttavia dire che il consenso per Sanders sia un'espressione di profonda rabbia sociale è molto diverso dal dire che la campagna Sanders rappresenti questa rabbia. La classe dirigente americana vede con grande preoccupazione l'emergere di un movimento indipendente che sfidi il suo potere economico e politico. Compito di Sanders è proprio quello di bloccare la nascita di un tale movimento incanalando l’opposizione popolare nel voto al Partito democratico.


Sono ancora in molti a credere nella democrazia, cioè su un sistema in cui il potere economico controlla la politica e tutte le principali istituzioni. Noi italiani le conosciamo bene le illusioni necessarie, vedi M5S. Nel voto c’è tanta espressione della volontà popolare quanta libertà c’è nella migrazione degli uccelli.

mercoledì 10 febbraio 2016

Le macchie solari


Ciò che noi vediamo è un sistema economico pericolosamente fuori controllo, e, del resto, cosa aspettarci dentro una formazione sociale in cui il processo di produzione comanda gli uomini e non ancora gli uomini il processo di produzione? Per questo stesso motivo è il movimento del capitale finanziario ad autonomizzarsi e a sfuggire al controllo di qualunque istituzione nazionale o sovranazionale.

Da dove saltano fuori le illusioni sul sistema finanziario, da quanto tempo vige l’illusione che la rendita finanziaria sia il prodotto del movimento stesso del denaro? Che senso ha chiedersi perché crollano le borse e in particolare il settore bancario se la risposta riguarda i tassi negativi che si diffondono a macchia d’olio sul pianeta, e che sono puro veleno per le banche; Cina e mercati emergenti; quotazioni del greggio e rischio perdite su crediti causate da default d’imprese del settore energia; quotazioni azionarie gonfiate dall’eccesso di liquidità di questi anni di politica monetaria non convenzionale; eccetera. Se credete, continua ironicamente quella peste di Mario Seminerio, metteteci anche le macchie solari.

Quelli elencati sono momenti di una contraddizione di fondo del capitalismo, laddove l’estrema  finanziarizzazione dell’economia, con tutte le sue magagne, non è altro che la conseguenza della crisi del modo di produzione capitalistico. Questo fatto è semplicemente taciuto. E che a tacere siano i padroni del mondo va da sé, però a dar man forte è la pletora di specialisti della falsificazione che opera nel mondo della comunicazione. È anzitutto in tale contesto che la schiavitù si riproduce ad un livello qualitativo superiore come dominio totale del capitale sulle forme della coscienza.

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lunedì 8 febbraio 2016

L’acqua non era più la stessa


Mi hanno regalato dei libri, tra questi una biografia. Si tratta della biografia politica di un ottuagenario, un malloppo di 607 fitte pagine dove non c’è molto del lato propriamente privato e sentimentale, a parte i frequenti viaggi e i numerosissimi incontri. Ad ogni modo c’è traccia anche di questi aspetti, specie nei primi capitoli, per me le pagine più interessanti, perché molti dei luoghi narrati sono stati anche i miei e non di rado, seppur più giovane, nello stesso torno di tempo.

L’autore racconta ovviamente anche di Padova, una città che ora cerco di evitare per ricordarmela com’era e non com'è stata ridotta. Accenna a bevute e libagioni nelle osterie di Mestre, o in quel della Bissuola che proprio nel medesimo 1967 scoprivo a mia volta, in un ottobre già fresco ma asciutto e sereno. Ricordo: il mattino ci si levava presto, col buio, e si potevano vedere le luci accese nelle abitazioni popolari di viale san Marco, e poi oltre, negli alti camini delle fabbriche di Porto Marghera; più a sud, quando albeggiava, la foschia sostava nelle barene e Venezia appariva come sospesa. Il passaggio degli autobus giallo-arancione, che da poco avevano rimpiazzato quelli verdi della filovia, e c’era ancora il canale che arrivava fino a Piazza Barche, dove appunto attraccavano piccoli navigli di merci e anche il vaporetto.

Un mondo che non esiste più da decenni e che aveva fino allora mantenuta, rarefatta, l’atmosfera povera e in bianco e nero del dopoguerra.


domenica 7 febbraio 2016

Quei "valori" ficcateveli nel culo


Non esiste una rivoluzione pacifica,
non esiste una rivoluzione incruenta,
non esiste una rivoluzione che non sia violenta.
Se non volete diventare schiavi aprite i vostri dizionari
e tirate fuori la parola rivoluzione.
Malcolm X

«Un’economia mondiale che vedrà ridursi la domanda di beni manifatturieri ottenuta con l'uso di materie prime e di energie tradizionali. Al loro posto ci saranno beni e servizi prodotti con tecnologie specializzate e una diminuzione del lavoro materiale e dell'occupazione. Infine un aumento del tempo libero che sposterà le persone verso viaggi, turismo, cultura, processi di integrazione, ricerche scientifiche e applicazioni pratiche dei loro risultati.»

Un vaticinio con i fiocchi, un quadro idilliaco del futuro, di un sistema che durerà “secoli”. Non c’è traccia di conflitto, di contraddizioni, di lotta per l’egemonia, c’è invece menzione d’ufficio della disoccupazione, senza chiedersi che cosa faranno centinaia di milioni di senza lavoro. Viaggeranno come turisti in ogni angolo del mondo. Viaggi e processi d’integrazione come già avviene ora attraverso il Mediterraneo e i Balcani.

E siccome di queste cose Eugenio Scalfari ne ha parlato al telefono con il suo vecchio amico Mario Draghi, possiamo dedurre di poter stare tranquilli: è sotto tale luce che è visto il roseo futuro presso le élite. Ciò a cui si punta nell’immediato è la creazione di un ministero europeo dell’economia che s’interfacci con la Banca centrale. Tutto dipende dalla Merkel e dai tedeschi, dice il Nostro. Dettaglio.

sabato 6 febbraio 2016

Se il pesce non abbocca, non è colpa del pesce


Quello che segue è un post tecnico adatto a tutti, compresa la terza elementare. Richiede cinque minuti circa per essere letto, e a taluno questa potrà sembrare una fatica incongrua, non meno di altre.

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La domanda non riparte, i consumi sono deboli, la famosa crescita è una chimera e non solo in Italia, ma ovunque. Quella che negli anni scorsi è stata scambiata per una ripresa fu in realtà un breve sussulto, un rantolo. La stagnazione è la febbre, di cui solerti diagnosti raccontano di tutto con corredo di tabelle, grafici, “algoritmi”, e ogni altro ausilio di persuasione. Della malattia invece nada, sulla causa fondamentale della crisi siamo ancora, nella migliore delle specie, alla teoria del “morbo”.

Se le reali cause della crisi fossero legate semplicemente alla domanda, basterebbe favorirla. Come dava da intendere anche quel furbacchione di Keynes, il quale negò quanto avevano sostenuto Say e Ricardo, e cioè che l’offerta crea la domanda. È necessario un “modello” più aderente alla realtà, scrisse, che prenda atto dello squilibrio domanda-offerta. Ed è a questo punto che nasce la famosa “legge psicologica”, corroborata, come si conviene nei casi in cui la parola non basta, da una serie di: D1 + D2 = φ (N), dove φ è la funzione di offerta complessiva … e via di questo passo.

venerdì 5 febbraio 2016

La minaccia più grave e incombente


Il tema della pace e della guerra non coglie interesse. La politica estera è quanto di più lontano da noi. Non si tratta solo di provincialismo. Sull’altra sponda del Mediterraneo (mare nostrum, dissero) la presenza della guerra ha punteggiato tutta la nostra epoca, la sua recrudescenza ha raggiunto livelli di barbarie assoluta e tuttavia il nostro sostanziale interesse è nullo, destato solo quando ci lascia la pelle un qualche nostro connazionale o perché i profughi bussano alla porta. Allora per qualche giorno se ne parla tra una réclame e l’altra.

Normalmente tengono banco questioni ben più cruciali, come quelle culinarie. Salvo l’interesse per le quattro banche recentemente fallite, la cui vicenda ha toccato sul vivo migliaia di persone ignare di dove andassero a sotterrare i propri zecchini. In questo momento, mentre sto scrivendo, alla radio, incidentalmente (?), il discorso è scivolato sulla pasta. Eppure – e chiudo la parentesi – in questo paese ci si nutre sempre peggio anche se in genere con sovrabbondanza, assecondando anzitutto noti interessi commerciali e poi quello dei cosiddetti dietologi.

giovedì 4 febbraio 2016

Spartacus non era anticapitalista, ma anche la sua era lotta di classe


In margine a questo articolo.

L’ho già scritto più volte: l’anticapitalismo, di per sé, ha poco o nulla a che vedere con il marxismo. Anche i simpatici nostalgici di CasaPound si definiscono anticapitalisti. Anche i cosiddetti “rosso-bruni” lo sono. Attribuire tutti i mali sociali al capitalismo, farne il responsabile ontologico, e per converso fare del comunismo una specie di teodicea, di risoluzione definitiva di ogni contraddizione sociale e nequizia umana, sono idee che nulla hanno a che fare con una concezione materialistica e dialettica della storia.

mercoledì 3 febbraio 2016

Quale livello?


La distribuzione della ricchezza dal basso verso l’alto, grazie alle politiche di riforma del capitalismo, procede alla grande, non solo in Italia, ma anche in Germania. Il 10 per cento delle famiglie tedesche nel 1998 possedeva 45,1 per cento del patrimonio netto. Nel 2013 (ultimo dato disponibile) tale percentuale era al 51,9 per cento. Un aumento di oltre il sei per cento. Quando quest’anno sarà pubblicato il V rapporto su povertà e ricchezza da parte del Bundesministerium für Arbeit und Soziales, non ci sarà da sorprendersi se tale percentuale di patrimonio sarà ancora maggiore.

Va ricordato che il patrimonio fino a un milione di euro, in Germania, è esentasse. Poi scatta un’inesorabile imposta del cinque per cento. Un’infamia per i risparmiatori tedeschi, certo.

Nel 1998 il 50 per cento delle famiglie tedesche più povere possedeva il 2,9 per cento del patrimonio netto. Nel 2013 si era arrivati all’1 per cento del patrimonio. Ciò significa, secondo i miei sofisticati calcoli statistici, che la loro percentuale di ricchezza si è ridotta di due terzi. Inoltre, ed è un dato che sospetto essere assai significativo dal punto di vista politico, circa il 47 per cento del patrimonio netto è appannaggio del 40 per cento di quella parte di popolazione che in termini sbrigativi possiamo inquadrare nella classe media. Si tratta dello zoccolo sociale (cui va aggiunto il 10 per cento dei ricchi) che consente al sistema politico e sociale tedesco di sentirsi al sicuro, nonostante la tendenza.

Fortuna e dieta


Nessuno, allora, avrebbe scommesso una lira già sul mio primo compleanno. Erano tutti rassegnati alle divine disposizioni. A conferma di quanto mi dissero in seguito, in un documento del Patriarcato risulta proprio questo: già due giorni dopo venne incaricato un prete di somministrarmi il viatico per il paradiso. Invece il buon Dio, che aveva atteso miliardi di anni tra il big bang e la nascita di questa stravagante creatura, pensò che poteva attendere ancora un po’ prima di annoverare un’anima irrequieta come la mia tra le voci bianche del suo coro.

Bisognerebbe avere il diritto di morire solo quando si ha una buona storia da raccontare, sennò anche nell’aldilà sarà noia.

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Posso assicurare che il mondo, quando nacqui, non era molto diverso dall’attuale, salvo per alcuni dettagli. Per esempio il profumo del pane che nessun fornaio odierno riesce a imitare. E poi faceva un freddo boia e nevicava copiosamente. Il nome di Stalin era ancora venerato in patria e fuori. Che altro? L’ozio già allora non veniva più nobilitato dall’arte e l’arte stessa non esisteva più. Basta guardarsi in giro, il buon gusto è scomparso da tempo immemorabile. Laddove nella nostra epoca si fa con mezzi limitati e spirito di economia un tempo si faceva con mezzi quasi illimitati. Non penso vi sia altro di notevole da segnalare in questo passaggio d’epoca.

Si potrebbe obiettare che la penuria di un tempo non c’è (quasi) più, e tuttavia con altrettanta valida ragione si può osservare che le abitudini di spesa oggi poggiano sulla volgarizzazione sistematica dei consumi e di quello che un tempo era il lusso. Certo, questa volgarizzazione è preferibile alla miseria, e però mi pare si stia tornando indietro lasciando il meglio per tenersi il peggio. Sia le leggi che le nuove tecnologie hanno mutato forma alle cose, evviva, ma nella sostanza il mondo è rimasto uguale. Continuano ad esistere i cittadini padroni e i cittadini servi, i cittadini di palazzo Balbi e i cittadini gondolieri. Ah sì, ecco, oggi le gondole hanno la targa e i gondolieri non lasciano il remo per ciacolare ma per chattare.


Ad ogni modo godersi la vita non è solo questione di temperamento ma di fortuna e di dieta.

martedì 2 febbraio 2016

Fra cose


Il diritto sanziona solo ciò che esiste. Tuttavia, si può eccepire, l’omosessualità esisteva anche prima che agli omosessuali fossero riconosciuti certi loro diritti. Ed eccoci al punto decisivo: che cosa fa sì che il diritto sia tale oppure muti? Il diritto di per sé, si tratti pure dei diritti inalienabili della persona, non esiste se non come codificazione di determinati rapporti sociali.

La trasformazione di tali rapporti sociali, primi tra tutti quelli tra le classi, è la vera causa della modificazione del diritto, sia quello delle istituzioni civili, della proprietà, della famiglia, eccetera. Molla fondamentale di tali trasformazioni/modificazioni è lo sviluppo economico e sociale.

E dunque si vede subito che la questione degli omosessuali posta semplicemente ed esclusivamente sul piano dei diritti è posta male, nel senso che zoppica. È il difetto di ogni idealismo vecchio e nuovo. Ed è sciancata anche posta sul piano eminentemente “culturale”, come fa Cacciari: “ci vuole realismo storico. Ormai le unioni civili sono una cosa acquisita, culturalmente parlando”.

Simili questioni, come quella dei diritti dei lavoratori o dei neri dell’Alabama e tante altre, vanno poste anzitutto sul piano degli accennati rapporti sociali, e questi sul piano dello sviluppo dei rapporti di produzione. Senza un adeguato sviluppo di tali rapporti, hai voglia di fare progresso “culturale”. Per la stessa ragione Ernesto Galli si smarrisce in "elissi" e mi diventa reazionario, anzi, razzista.

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lunedì 1 febbraio 2016

Paladini dell’ordine borghese


Alessandro Gilioli ha scoperto, meglio tardi che mai, che c’è bisogno “di un modello di società radicalmente diverso da quello in cui ci troviamo”. Radicalmente diverso quanto? Una patrimoniale, far pagare più tasse ai ricchi e cose di questo genere? “Una battaglia per la rappresentanza che per avere qualche possibilità può essere solo autentica e limpida”. Ah ecco, una battaglia per acchiappare voti.

Un modello di società radicalmente diverso dopo che da tempi remoti è stata abbandonata ogni linea di classe? Questa è la dimostrazione più evidente di quale sia il punto d’approdo di chi pretende di “far politica” entro i limiti imposti dalla logica “democratica”, ossia entro gli apparati di regolazione e normalizzazione della società borghese.


L’obiettivo di questi paladini dell’ordine borghese è diretto ad esprimere comunque un modello politico ed economico che in realtà conserva intatti i rapporti di produzione fondamentali del capitalismo, nell’idea di poter far convivere le differenze di classe mitigate da politiche distributive e di welfare, senza  tener conto, tra molte altre cose, della radicalità storica della crisi capitalistica in atto.

Il gusto di essere un coglione


Il lunedì è giorno di svago, leggo sui giornali i deliri, i messaggi paranoici che parlano chi li parla, senza alcun raccordo con la vita reale. Arroganti e intimidatori. Tra questi, leggo di quel tale che gode all’asserzione thatcheriana “Non conosco la società, conosco soltanto individui”. Dove mai hai conosciuto degli individui? Allo zoo puoi conoscere degli individui. Già quando al mattino suona la sveglia è la società che chiama, che dà la regola. Quando trangugi la colazione e leggi il giornale è la società che fornisce la materia e ti dice di quale ambiente linguistico, politico, economico, estetico, etico, psicologico e dunque sociale fai parte. La nostra identità è un’identità collettiva! L’individuo è un’astrazione, un mito come quello di Tarzan.


Peraltro questo grosso coglione che gode all’asserzione thatcheriana, non si rende conto, quale scribacchino remunerato a peso, di essere agente di un’irradiazione multimediale sistematica fatta di significati e di programmi di comportamento ufficiali e autorizzati che nulla hanno a che fare con l’individualismo di cui dice di essere propugnatore. È lo sfruttamento di milioni di uomini, donne, vecchi e bambini, il nuovo schiavismo che si configura come la forma neoclassica dello schiavismo, ossia come sua forma compiuta e totale, che permette a figure sociali porche come la sua di coltivare e propagandare il “gusto l’individualismo”.

P.S. :

Feuerbach risolve l'essere religioso nell'essere umano. Ma l'essere umano non è un'astrazione immanente all'individuo singolo. Nella sua realtà, esso è l'insieme dei rapporti sociali. Feuerbach, che non s'addentra nella critica di questo essere reale, è perciò costretto: a fare astrazione dal corso della storia, a fissare il sentimento religioso per sé e a presupporre un individuo umano astratto, isolato; per lui perciò l'essere umano può essere concepito solo come "specie", come generalità interna, muta, che unisce in modo puramente naturale la molteplicità degli individui (K.Marx, VI Tesi su Feuerbach).