giovedì 31 marzo 2016

L'utero come involucro e macchina della riproduzione


Segnalo una recensione comparsa ieri su il manifesto, a firma di Anna Curcio, dal titolo I colpevoli roghi della storia europea e le lotte delle donne, che ha per tema il libro di Silvia Federici, Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria.

Non tutto l'impianto del lavoro della Federici mi convince, almeno per come viene descritto nella recensione e da ciò che si desume dai brani riportati nell'articolo. A cominciare dalla “accusa” rivolta a Marx di aver “perso di vista le profonde trasformazioni che il capitalismo ha introdotto nella riproduzione della forza-lavoro nella posizione sociale delle donne”, come scrive Curcio.

Posso dissentire da questa tesi che a me pare, di primo acchito (non ho letto il libro della Federici), frutto di un fraintendimento su che cosa sia e non sia Il Capitale di Marx. Si tratterebbe anche di un’“accusa” un po’ alla leggera posto che Marx, per contro, si occupa, non solo incidentalmente, proprio della posizione della donna (e del lavoro minorile) nell’ambito delle “profonde trasformazioni che il capitalismo ha introdotto nella riproduzione della forza-lavoro”.

Le mie condizioni di salute non mi permettono attualmente di mettere mano (per fortuna dei lettori del blog) ai “sacri testi” per una estesa disanima sia, dapprima, su che cosa si proponga effettivamente Il Capitale di Marx (che non è uno studio storico-sociologico), e sia per dimostrare che Marx aveva ben presente il profondo significato trasformativo dei rapporti sociali intervenuti nella formazione storico-economica del capitalismo, e dunque nella divisione sociale del lavoro e nella modificazione dei rispettivi ruoli tra uomo e donna, segnatamente per quanto riguarda vecchie e nuove ineguaglianze e gerarchie costruite sul terreno del genere.

Ad ogni modo, posto che stiano effettivamente così le cose, ossia come le presenta la recensione (credo che il libro meriti di essere letto per la ricostruzione storica del tema), mi trovo molto d’accordo quando leggo che “il corpo e le attività legate alla riproduzione restano oggi, come agli albori del capitalismo, un campo di battaglia” (detto tra parentesi: non solo le attività legate alla riproduzione, ma tutte le fasi dell’intero ciclo vitale della merce salariata), laddove “il corpo della donna diventava macchina della riproduzione”. […] Il corpo – l’utero in particolare – si fa dunque macchina da lavoro: bestia mostruosa da disciplinare da una parte, involucro e contenitore della forza-lavoro dall’altra […]. Non sorprenderà allora che ogni pratica abortiva o contraccettiva sia stata condannata come maleficio, così le donne espulse da quelle attività come l’ostetricia o la medicina che avevano fin lì esercitato sulla base di saperi tramandati nel tempo”.

E, soggiungo, anche il cosiddetto “utero in affitto”, come involucro e «contenitore», resta “macchina della riproduzione”, sotto il segno del valore di scambio.
  

mercoledì 30 marzo 2016

Tendenze necessarie ed esplosive


Alcune delle cosine che vado scrivendo e ripetendo da oltre sei anni in questo blog cominciano, spinte dai fatti, a diventare – come tema ma non certamente come identità d’analisi – argomento di largo interesse, inteso questo in un senso compatibile con lo spettacolo autistico offerto dai media.

Vediamo, appunto, come la tecnologia tenda sempre più a sostituire lavoro vivo con macchine, e come molte attività stesse diventino sempre più obsolete, salvo enclavi corporative che tuttavia incontreranno presto il loro destino.

Ciò di cui ci si preoccupa – giustamente ma ahimè vanamente – è l’aumento dei senza lavoro e della precarietà dei posti di lavoro in essere, e ciò provocherà, entro qualche lustro, gravissimi problemi di sostenibilità previdenziale e acuti riflessi sulla tenuta del residuo welfare, come del resto sta dimostrando, in modo solo apparentemente paradossale, il Giappone. Se l’Italia avesse prigioni dove la violazione dei diritti umani non fosse così smaccata, lo stesso fenomeno nipponico prenderebbe piede anche da noi.

Aspetto non secondario – ma negletto per motivi ideologici e dunque d’interesse – è la tendenza sempre più marcata all’aumento del capitale costante (ciò che gli ignoranti chiamano semplicemente ed erroneamente “capitale fisso”) a scapito di quello variabile, con determinazioni decisive dal lato della valorizzazione del capitale stesso.

Tutte le forze produttive sono state poste al massimo grado sotto il dominio pieno della legge del valore. A tale legge devono rispondere. L’aumento della forza produttiva del lavoro e la riduzione del lavoro necessario ad un minimo è la tendenza necessaria del capitale. Ma si tratta di una tendenza esplosiva.

Questo è il vero tema, tale l’aspetto fondamentale che meriterebbe attenzione politica e analisi economica, altro che accusare i ricchi di non essere poveri, o i nemici di classe di non essere nostri amici (povero Gilioli & C.).

Non bisogna aver fretta, anche di ciò il delirio mediatico si occuperà con dovizia a tempo debito e già ora sono reclamizzate soluzioni che evocano magiche aspettative: robotica, intelligenza artificiale, ecc.. In fondo si tratta solo di disperazione, queste merde non possono non sapere che la tecnologia tampona i problemi del capitale nel momento stesso in cui crea le condizioni per il loro allargarsi e aggravarsi, anche sul piano sociale.


Ed è appunto per questo che hanno scatenato una lotta di classe forsennata e globale, sanno bene che l’umanità è giunta a uno snodo che non consente levantinismi. La storia è storia di lotte di classe, anche quando la classe dominante s’inventa di tutto per smentirlo e in tal modo per poter fottere meglio gli Iloti.

lunedì 28 marzo 2016

Quando a mettere le bombe erano i sionisti



Gli Stati Uniti d'America, nonostante tutto il rumore e le spese folli delle sue campagne elettorali, non è una democrazia, e, come più grande potenza imperiale del mondo, non è una nazione che onora veramente i diritti umani, sia a casa propria e sia all'estero, anche se i suoi politici non smettono mai di parlare di democrazia e diritti umani. È un paese controllato dalla ricchezza il cui scopo è l'accumulazione fine a se stessa, dotato di un apparato militare (e spionistico-repressivo) gigantesco coinvolto dopo l’ultimo conflitto mondiale in decine di guerre e interventi.

*

La decisione inglese, con Balfour, e poi quella americana, con Harry Truman, di dar luogo a uno stato sionista e poi di appoggiarlo contro gli arabi, è senza dubbio alla radice dello sconquasso degli ultimi settant’anni in Medio Oriente. Con questo non voglio dire che gli arabi tra loro non si sarebbero fatti la guerra, ma è stata una follia (o un’astuta mossa, dipende dai punti di vista) far nascere in Palestina uno stato ebraico subito in contrapposizione con la popolazione araba autoctona (fortemente maggioritaria fino ad una certa epoca).

Oggi il Medio Oriente è in gran parte in rovina, interi stati e le loro società sono distrutti, milioni i morti, e ha fatto la sua comparsa il terrorismo, dapprima quello sionista del Irgun Zvai Leumi (cui fa seguito il razzismo ad un tempo biologico e teologico del Gush Emunim), poi quello palestinese, e ora quello di matrice islamista della cui nascita gli Usa non possono chiamarsi fuori.


A sentire i media occidentali sembra che tutto ciò accada improvvisamente a causa dell’impazzimento di qualche frangia estremista, o come prodotto della faida tra sunniti e sciiti, eccetera. Del resto i media sono un'industria come le altre e sono di proprietà di un numero relativamente piccolo di persone ricche e con vasti interessi, e dunque di gruppi di potere che hanno tutto da guadagnare a mantenere buoni rapporti con i governi e gli ambienti operativi. Esiste solo il presente, e quando si tratta del passato basta manipolarlo.

domenica 27 marzo 2016

È una vecchia storia


Chi oserebbe seriamente negare, oggi, le radici fondamentalmente sociali delle guerre di religione, specie quelle del XVI secolo? In ogni religione si può trovare, direttamente o nelle sue più riposte pieghe, tanto radicalismo e fondamentalismo da giustificare guerre e stragi di ogni tipo in nome di dio e della vera interpretazione della sua volontà. Se negli ultimi secoli non è avvenuto in Europa, ciò è dipeso dal fatto che la lotta si è trasferita sul piano politico. Se invece il fondamentalismo religioso rinasce da qualche altra parte ciò dipende dal semplice fatto che la lotta non potendo procedere sul piano politico, come per l’innanzi, ritorna sui suoi passi e procede su quello religioso, specie se ad essere coinvolte sono popolazioni che non hanno ancora conosciuto un pieno sviluppo delle loro società.


Il nemico da battere non è la religione in sé e nemmeno il fondamentalismo, ma le condizioni economiche, sociali e (geo)politiche che fin dalla spartizione della “carcassa del turco” hanno prodotto disordine e guerre nel Medio Oriente e in Nord Africa. Dapprima queste condizioni di sfruttamento e sottosviluppo avevano come agente principale il colonialismo, oggi il protagonista è l’imperialismo, cioè i grandi interessi e i grandi affari (petrolio, armi, traffici, rotte commerciali, ecc.).

È una vecchia storia: quale motivo più forte di una fede religiosa o di una "scontro di civiltà" per fare una guerra? 

mercoledì 23 marzo 2016

Hic rhodus, hic salta!


I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo.

*

…. la scelta del fanatismo religioso come unica forma di espressione di una contrapposizione sociale e culturale che non trova più altri canali, estinto il sogno della rivoluzione comunista.

Il “fanatismo religioso”, in cui trova radice il terrorismo di questi giorni, viene da Alessandro Gilioli equiparato ad “espressione di una contrapposizione sociale e culturale” paragonabile e alternativa alla lotta per il comunismo, e la rivoluzione comunista derubricata a “sogno”.

Il peggio ci è offerto da quella che fu la “sinistra”, termine astratto che non ha mai significato un cazzo. Ed infatti gli avversari più radicali della rivoluzione comunista si sono sempre trovati a sinistra (o come ex di sinistra).

È fin troppo noto che la curva dei mercati decide, oltre che del destino professionale di questi pupazzi della critica laterale borghese, anche il destino di miliardi di esseri umani. Non di meno  Gilioli scrive:

C'è proprio bisogno di un esercito di sociologi, invece. Così come di urbanisti, di antropologi, di etnografi, di statistici, di psicologi, di studiosi delle emarginazioni e delle diseguaglianze, delle periferie, delle religioni, del razzismo. C'è bisogno come il pane di chi ricerca le dinamiche che creano guerre e morte.

No, per carità, abbiamo già dato: basta con eserciti sociologi, urbanisti, antropologi, etnografi, statistici, psicologi, studiosi delle emarginazioni e delle diseguaglianze, che ci raccontino della loro nuova versione sulle famigerate “dinamiche”.


Che cosa possiamo attenderci da coloro i quali, pur invocando le “necessarie riforme”, accettano le ragioni dell’economia capitalistica, e dunque accettano di fatto anche le soluzioni finali del problema umano secondo la legge del valore di scambio?

martedì 22 marzo 2016

Con quale faccia


Bisogna riconoscere che il presidente Obama ha il coraggio delle proprie opinioni. Ospite in un paese straniero ha sollevato il tema dei diritti umani. A Cuba, non in Arabia Saudita. Confermando che la violazione di tali diritti è la ragione principale del famoso embargo economico e commerciale contro Cuba (non contro l’Arabia Saudita).

Bisogna riconoscere che il presidente Obama ha una bella faccia tosta a parlare, nello specifico e anche in generale, di diritti umani. Gli Usa, il paese più ricco del mondo, secondo molte opinioni anche il più libero e modello di democrazia, detiene anche un altro primato, ossia quello di avere, sia in termini assoluti e sia in rapporto alla popolazione, il più alto numero di detenuti del mondo. Inoltre, «Gli Stati Uniti sono l'unico paese al mondo in cui i bambini sono condannati a morire in carcere».


A meno di non volersi rifare a bizzarre teorie di stampo lombrosiano, è evidente che alla base della carcerazione di massa negli Usa vi sono decisivi motivi d’ordine economico e sociale (e razziale). Ma ad Obama e al suo seguito di leccapiedi tutto ciò non cale.

lunedì 21 marzo 2016

Illusioni metafisiche


«Secondo alcuni studi, nei prossimi 20 anni sarebbero a rischio circa il 50% delle posizioni lavorative dei paesi industrializzati, ma la grande novità è che non si tratta solo dell’automazione delle fasi produttive, ma del superamento di molte aree di lavoro intellettuale, in relazione allo sviluppo dell’intelligenza artificiale, del machine learning e ora anche di robot che rispondono a input emotivi.»

*

L’ordinamento sociale borghese non sta andando in pezzi sotto l’azione travolgente dei soviet operai; la grande rivoluzione culturale non è implementata nelle coscienze proletarie dagli slogan delle guardie rosse. Come si può evincere dal brano tratto da Il Sole 24ore di ieri, a firma di Max Bergami, ci sono forze rivoluzionarie ben più potenti che spingono verso il più grande e inedito mutamento sociale e antropologico della storia, forze che coinvolgono ogni aspetto della produzione della vita umana e dei suoi complessi rapporti.

C’è ancora da discutere su questo fatto inoppugnabile cui conduce inesorabilmente, come legge di natura, lo sviluppo del capitale? E non si può ignorare che questa discontinuità qualitativa epocale, che procede sostituendo forsennatamente lavoro vivo con sistemi di macchine, genera quella divaricazione tra valore d’uso e valore di scambio nella massa di merci prodotte che è il motivo fondamentale da cui viene la crisi storica del capitalismo. Trionfo e morte.

Sennonché sono in molti a immaginare (vedi nel medesimo articolo del giornale), “un mondo in cui le macchine lavorano e gli uomini non dovranno più mangiare il pane con il sudore del proprio volto”. Il problema, per dirla in breve, non è il pane e le fatiche con cui gli uomini se lo procurano (i padroni, per esempio, non hanno mai avuto di questi fastidiosi problemi di approvvigionamento alimentare), ma i rapporti sociali entro i quali ciò avviene. Se sono gli stessi rapporti sociali odierni, ossia quelli in cui il lavoro ha per scopo esclusivo quello di valorizzare il capitale, ebbene siamo alle solite illusioni metafisiche.


Questi asini non hanno chiaro che il problema fondamentale del capitalismo è che a un dato livello dell’accumulazione, la produzione di valori d’uso (“il pane”) entra in contraddizione con le esigenze di valorizzazione del capitale. Lo sviluppo delle forze produttive risulta così frenato dai rapporti di produzione capitalistici, vale a dire dai rapporti di produzione fondati su un modo specifico di imporsi della legge del valore!

domenica 20 marzo 2016

Il paradigma


Quasi a ricalco del mio ultimo post, Eugenio Scalfari ripropone questa domenica la stessa mia riflessione:

La maggioranza è indifferente, si occupa di se stessa, del suo presente e del suo futuro prossimo. Le notizie che la riguardano direttamente interessano, ma tutte le altre no. I problemi generali sono dunque seguiti da una minoranza e il sistema mediatico cerca appunto di soddisfare questa loro curiosità.

Come si vede si tratta di una riflessione non originale e che però coglie nella sua semplicità uno spaccato di rilevante verità. Ciò che fa Scalfari nel rispondere è menare il can per l’aia, parlando di federalismo europeo, citando ovviamente Spinelli e quel di Ventotene, Mario Draghi e l’Europa, Angela Merkel e l’Europa, Matteo Renzi e Italia ed Europa, papa Francesco e il mondo. La Bce, la Bundesbank, e le varie altre istituzioni.

Così come la maggioranza è indifferente ai problemi generali, anche Scalfari è indifferente al problema di fondo: una volta raggiunta la famigerata federazione europea, quando il debito pubblico e le politiche fiscali saranno comuni, eccetera, crede veramente Scalfari che le grandi questioni del presente e del futuro troveranno soluzione? Se tali obiettivi federativi saranno raggiunti, ci si arrangerà meglio. Forse. E tuttavia le contraddizioni da cui nascono quei problemi rimarranno intonse.

Ciò di cui c’è bisogno è un cambio di paradigma, ma tale cambiamento è impedito dalla natura stessa del sistema nel quale ci muoviamo. Si pensi solo all’accumulazione di ricchezze improduttive, allo sperpero e dissipazione di esse. Ma solo per ripetere le solite cose e tacerne moltissime altre.

Il cambiamento che prefigura Scalfari e la gente come lui, così miope, è sempre e solo in ragione dei cambiamenti che esige un’economia tributaria degli interessi del grande capitale, in cui la merce ormai guadagna più dalla sua distribuzione che dalla sua produzione (e vai dunque alle cause della crisi). Le anime comuni l’hanno ben capito e perciò disertano sempre più i temi evocati da Scalfari, nonché i seggi elettorali.

È un peccato che Scalfari non potrà vedere fino a che punto s’è sbagliato, di quanto fosse antiquato il suo paradigma, fermo ancora a Ventotene.







giovedì 17 marzo 2016

Istruiti


Posta l’elevatissima percentuale di adulti in età giovane attualmente disoccupati, precari e semplicemente disperati, con quale reddito si pensa, tra una generazione (ma anche in un lasso di tempo più breve), che questa enorme massa di persone possa almeno tirare a campare? Sussidiando? Stante un debito pubblico (non solo quello italiano) che tende a crescere e la sempre più drastica riduzione di posti di lavoro dovuta allo sviluppo delle tecnologie e alla razionalizzazione dei processi produttivi? Stante l’aumento della popolazione anziana? Stante il fatto che la redditività del capitale in rapporto agli investimenti – nonostante le enormi centralizzazioni in atto – non solo tenda a calare ma stia crollando?


La formidabile realtà delle cose che ci opprimono e ci sopravanzano non mi pare induca alcuna seria riflessione. Il dibattito pubblico (??) prosegue nella tranquilla ostentazione di ignorare la radice dei problemi. Non c’è di che stupirsi poiché siamo stati istruiti per ignorare tutto ciò che ci riguarda direttamente e realmente. 

No, non è colpa della borghesia, non più di quanto l’ancien régime fosse colpa dell’aristocrazia; non è colpa del vituperato kapitalismo più di quanto non fosse colpa del feudalesimo. E del resto il movimento storico, nelle sue leggi, non si pone le questioni in termini così ameni.

mercoledì 16 marzo 2016

Il diluvio



Non smetto di stupire di fronte al fatto di come il denaro investito in propaganda possa muovere milioni di persone nel circo elettorale americano che è quanto di più antitetico con la democrazia. In questo gulag spettacolare, l’altra faccia di quello sovietico, non è ben chiaro soggettivamente dove termini la realtà e dove abbia inizio l’allucinazione. Un po’ come succede nel film Shutter Island di Scorsese.

Si è presi dal più nero pessimismo e tutti i bei discorsi sulla coscienza delle masse vanno a farsi fottere. Del resto aveva ragione Marx quando scriveva che la coscienza dipende dalla pancia, ossia dall’essere sociale delle persone.


I reazionari approfittano di questo stato dell’arte per tracciare una linea netta. È gente che non ha mai fatto il minimo sforzo, presa nel circuito lucrativo delle sue Shutter Island, per comprendere la dialettica storica. Paradossalmente la rottura con l’economia dello sfruttamento, determinata dal capitale inerte, dopo essersi abbozzata per decenni si mostra in tutta la sua realtà storica, nel diluvio che ci sta piombando addosso.

sabato 12 marzo 2016

La vigilia


La sfida che ci pone innanzi il secolo riguarda tutte le classi sociali, compresa la borghesia. L’esigenza di un radicale cambiamento, del modo di considerare la produzione e la distribuzione della ricchezza, e dunque il lavoro e i rapporti sociali che con esso vanno dappresso, e perciò anche quelli giuridici e politici, si fa e si farà sempre più urgente, pressante, ineludibile. La classe dominante e i ceti sociali che si abbeverano alla stessa fonte non hanno alcun interesse a mollare la presa. Anzi. Le classi subalterne, dal canto loro, temono di perdere ciò che con dure lotte e sacrifici avevano strappato per il passato.

È illusione comune che le cose possano in qualche modo andare avanti, anche se non pochi dubbi trapelano e anzi si fanno insistentemente manifesti e fastidiosi. Però, a sentire di come se ne parla, di cosa si dice in tal senso, sembra ci si riferisca a tutt’altre cose. Sullo sfondo l’ombra minacciosa di un conflitto generalizzato, del tutti contro tutti. È una possibilità concreta, forse anche la più probabile. Ad ogni modo siamo alla vigilia di un grande disordine dagli esiti davvero imprevedibili. Il vecchio mondo non vuole essere seppellito, e tuttavia, per quanti sforzi contrari faccia, si sta scavando ogni giorno la fossa. Sempre più profonda, man mano, paradossalmente, che celebra i sui stupefacenti risultati e le sue conquiste.  


E noi? Non resteremo solo spettatori ancora troppo a lungo, anche se c’è sempre il rischio, in simili circostanze, di diventare protagonisti nostro malgrado come vittime.

mercoledì 9 marzo 2016

[...]


«Bisogna combattere il senso d’inutilità del voto», diceva stamane alla radio Ferruccio De Bortoli. In ciò rivelando la sua falsa coscienza (o peggio). Si tratta di senso d’inutilità oppure d’inutilità effettiva? Nel primo caso il motivo sarebbe d’ordine prevalentemente psicologico ed emotivo, nel secondo caso riconducibile ad altre e ben più pregnanti ragioni d’ordine sociale e politico. Chissà come pensano di “combatterlo”.

*


Nel più grande stato industriale del Midwest, il Michigan, a sorpresa ha vinto Sanders, il “socialista democratico”. Da quelle parti ci s’illude ancora, ma ad ogni modo l’esito del voto è significativo sullo stato dell’arte.

domenica 6 marzo 2016

Come salvare il capitalismo con mille dollari il mese


Non facciamoci abbagliare dai suoi trionfi, il capitalismo è spacciato. È sufficiente leggere articoli come questo, apparso sul NYT, per rendersene conto. Più che una descrizione scientifica rappresenta uno stato d’animo. Produrre merci senza aver bisogno del lavoro umano. Peccato non averci pensato prima, si potevano magari addestrare degli scimpanzé. Perché andare a produrre in Cina o in Pakistan quando basterebbero dei robot per risolvere ogni problema?

Costruiamo fabbriche dove il lavoro umano in proporzione alle macchine sia ridotto davvero ad un minimo insignificante. Mettiamo in comune il “capitale fisso”, sembra di sentire san Marchionne. Non è più tanto il lavoro a presentarsi come incluso nel processo di produzione, quanto piuttosto l’uomo a porsi in rapporto al processo di produzione come sorvegliante e regolatore.

L’avessero saputo Smith, Ricardo, e soprattutto quel confuso di Marx, oh quanto inchiostro, quanto sudore e sangue avremmo potuto risparmiare all’umanità. Salvo il fatto che Marx proprio questo prefigurava da un punto di vista strettamente scientifico, quindi certo non s'illudeva di poterlo realizzare né nella penuria e nemmeno nell'ambito dei rapporti di produzione capitalistici. Ora invece pare, a dar retta agli ideologi borghesi, che questa nuova età possa instaurarsi nell’ambito degli stessi rapporti di produzione, e quindi come buoni amici risolvere la faccenda, spartire ragionevolmente il bottino tra capitalisti e … disoccupati.


sabato 5 marzo 2016

La tendenza


Il governo cinese ha annunciato licenziamenti di massa nelle imprese di proprietà statale, in particolare quelle del carbone e dell'acciaio, ma anche in altre industrie di base. Per eccesso di capacità produttiva, sostiene il premier Li Keqiang. La produzione di acciaio stimata è passato da 132 milioni di tonnellate nel 2008 a 327 milioni nel 2014, ossia tre volte il Giappone, secondo più grande produttore mondiale. Si tratterebbe – secondo il ministro del welfare Yin Weimin – di 1.800.000 lavoratori, 500mila della siderurgia e 1,3mil. delle miniere.

Un comunicato dell’agenzia Reuters, martedì scorso, sulla base di fonti governative anonime, rilevava che il governo sta progettando di tagliare la capacità produttiva in ben sette settori, tra cui cemento, vetro e cantieristica navale, per complessivi sei milioni di posti di lavoro in meno nei prossimi tre anni. La produzione di cemento è quasi raddoppiata, da 450 a 850mil. di tonnellate, mentre la raffinazione del petrolio è balzata da 77 a 230 milioni di tonnellate, la produzione di vetro piano è passata da 76 a 215 milioni di t.

Secondo dati ufficiali cinesi la disoccupazione sarebbe al 4 per cento, ma alcune stime, come quelle fornite da parte del National Bureau of Economic Research, pongono la cifra reale vicino al 10 per cento. Quale che sia la verità su tutte queste cifre, di significativo c’è la tendenza. Il deflusso di capitali sta facendo il resto, non solo in Cina, ma anche negli altri paesi del gruppo dei cosiddetti Brics. Un esempio di rilievo è quello del Brasile, con un calo del Pil pari al 3,8 per cento nel 2015, ma che sta accelerando, con un meno 5,9 per cento nel quarto trimestre dell'anno rispetto a un anno prima.

Grandi mutamenti s’annunciano in tutto il globo nel prossimo futuro, e sarà un peccato non poterli vedere (o una fortuna?)


mercoledì 2 marzo 2016

Ciò che si prospetta, inevitabilmente


«Il capitalismo ormai non è solo incompatibile con la democrazia: è incompatibile con la vita».

Questa frase mi provoca sempre un sorriso. Generazioni di comunisti e anticomunisti non hanno avuto e continuano a non avere un’idea scientifica (non trovo espressione più congruente) di che cosa sia il capitalismo nella sua essenza e quali siano i reali motivi della sua crisi storica. Se ciò si può comprendere e scusare per quanto riguarda le anime comuni, non può invece trovare alcuna giustificazione quando a prendere una posizione antagonista al capitalismo con simili frasi ad effetto sono dei leader politici.

Precisazione propedeutica per chi si mettesse all’ascolto per la prima volta su questa frequenza d’onda: una posizione anticapitalistica che attribuisca tutti i mali sociali al capitalismo, fino a farne il responsabile ontologico di ogni contraddizione sociale e nequizia umana, è un’idea che di per sé nulla ha a che fare con una concezione materialistica e dialettica della storia. È un manicheismo pretesco.

Compito di un dirigente politico che non incarni semplicemente la critica opportunistica borghese, che insomma non sia un Varoufakis greco o un Vendola nostrano, è quello di chiarire per quale motivo fondamentale il capitalismo risulti “incompatibile con la vita”. E dunque non basta denunciare il circolo vizioso di  inefficienza e irrazionalità, di abusi e soprusi del sistema che sono ben evidenti ma comuni a ogni formazione sociale finora succedutasi, e non è sufficiente dire che il modo di produzione capitalistico, dominato dalle sue contraddizioni, produca effetti dirompenti sul piano sociale e su quello della sostenibilità del rapporto di ricambio uomo-natura (*).