domenica 31 dicembre 2017

Sarà



«Per i parlamentari entra l'obbligo di votare la fiducia ai governi espressione dei cinque stelle». È un obbligo, sia chiaro, che esiste anche per gli altri partiti (altrimenti ti appendono al chiodo e non ti ricandidano). E tuttavia vederlo messo per iscritto nel nuovo “codice etico” (?!), mi ricorda qualcosa, mi riporta ad un passato lontano, anche se non lontanissimo, ma non riseco a ricordare nulla di preciso. Senescenza? Sarà.

Un anno in meno da qui alla fine del mondo. Buona fine ...

giovedì 28 dicembre 2017

Votare per chi, votare perché?


Le elezioni sono state fissate per la prima domenica di marzo. Elezioni del tutto inutili, qualunque risultato sortisca da esse. Tutti vincitori. Non cambierà nulla, assolutamente nulla. Il debito pubblico continuerà, come sempre, ad aumentare di 70-80 miliardi l’anno; la disoccupazione ufficiale rimarrà a due cifre; le condizioni di sfruttamento del lavoro peggioreranno, e se metteranno mano alle pensioni sarà solo per combinare altri pasticci. Per soprammercato prepariamoci a sorbirci due mesi di rompimento di palle.

A lavorare e pagare sono sempre i soliti. Per contro, molti autonomi, commercianti e professionisti dichiarano 20, 30, 40 mila euro d’imponibile (ma anche vicini alle soglie di povertà) pur avendo redditi reali di molto superiori e possedendo patrimoni di centinaia di migliaia di euro, spesso di milioni di euro. L’incrocio di dati bancari e dei registri immobiliari con le dichiarazioni dei redditi sarebbe cosa semplicissima. Nessun governo agirà in tal senso perché si troverebbe contro milioni di evasori, cioè di elettori.

Gli evasori e i farabutti di tutte le risme hanno interesse a sostenere il sistema. I partiti fanno finta di litigare tra loro (più di 500 parlamentari hanno cambiato casacca), ma sono solo dei comitati elettorali che hanno tutto l’interesse a mantenere le cose così come sono. Votare per chi, votare perché? Se non avete ancora capito il gioco siete degli erbivori.

mercoledì 27 dicembre 2017

Lo sperma fortunato



C’è una legge di natura alla quale nessuno può sottrarsi: quando giunge la nostra ora non possiamo nemmeno sceglierci l’albero, come invece pretese Bertoldo. Perfino l’immortale d’Artagnan, proprio nel momento in cui riceveva il bastone di maresciallo, in quel di Maastricht, dovette lasciare il passo. E, più recentemente, tra le lacrime d’insospettabili fans, sembra averci lasciati anche un certo Ciro di Marzio. Non vado oltre con i riferimenti culturali alti, anche se avrei potuto insistere ricordando Charlie Chaplin della cui scomparsa ieri l’altro cadeva il 40° anniversario.

Semmai c’è da brontolare sull’algoritmo, e a tal fine sarebbe interessante conoscere l’ammontare della vita media secondo status sociale e mestiere, ma sappiamo che simili cabale non fanno il gioco dei timonieri della nave schiavista.

Per i ricchi la sventura è doppia perché ciò che possiedono al sole o tesaurizzato in banca soggiace alla mannaia del fisco. Non in Italia, sia chiaro, poiché da noi la tassa di successione è meramente simbolica. In Giappone è al 55%, ma lì hanno gli occhi a mandorla e perciò vedono le cose diversamente.

Nel paese più esemplare del mondo, gli Stati Uniti d’America, secondo Roger Abravanel, che scrive di questo tema sul Corriere della sera, si tratterebbe del 40% dei beni di colui che anche oltreoceano i legulei chiamano de cuius. Perciò, scrive Abravanel, il solito Trump ha riproposto di abolire tali imposte dopo il tentativo fallito di George Bush.

domenica 24 dicembre 2017

Buon Natale



L'albero del Lotto in P.za Municipio a Napoli - L'unico che abbia senso.


Cantone & Costabile
Pleonastico stabilire confini tra arte e artigianato


Gragnano


C'è sempre


Il Golfo, da Torre del G., il 10 dicembre ore 8.15


Galleria Getano Bresci, il 9 dic., di buon mattino


Chiostro di santa Chiara - In giugno è un'altra cosa


Il museo archeologico nazionale è tappa d'obbligo in ogni occasione.
Il nuovo allestimento dell'"egizio" è molto ben fatto.
Le sale dedicate a Pompei ed Ercolano meriterebbero ben altra sorte.
Tenuto peggio, molto peggio, ho visto solo l'egizio di Firenze, qualche anno fa.


Il vaso blu
(la foto non rende la meraviglia di questo capolavoro)

Frequento, di tanto in tanto, Napoli da 42 anni. Nell'ultima visita (questa volta solo 3 dì) l'ho vista meglio, almeno per quanto riguarda il centro. L'hinterland è sempre quello. Mi è sembrata più pulita, via Toledo non è più il bazar caotico di prima, in via Marina piantumazione di palme. I lavori della metro sono fermi o vanno a rilento, del resto il sottosuolo di Napoli non è quello di Berlino. A proposito, la metro più profonda credo sia quella di Praga, passa sotto la Moldava e tira un'aria da bronchite tutto l'anno. Quella di Mosca la più bella, confermo. Ah, dimenticavo: buon natale.


sabato 23 dicembre 2017

A me piace o’ presepe!






A Napoli hanno rubato l’albero di natale in galleria Umberto (si chiama ancora così!). Hanno fatto bene, l’abete non è cosa per quelle latitudini. Loro hanno i presepi, meravigliosi (ne ho fotografati alcuni, anche quello di Gragnano, forse a natale posterò qualche foto). Il giorno di natale a Napoli sono previsti 6° di minima e 14° di massima. Da me ci saranno -3° e 3°. Una quindicina di giorni fa ci siamo seduti in un bar, all’aperto, in via Toledo. Dopo un bel po’ s’è fatto vedere un cameriere. Uno di noi ha avuto la bella idea di chiedere se avevano tisane o infusi. Il cameriere ha risposto che no, al massimo il tè. A mia volta ho osservato: qui non fa freddo, chiaro che non usano simili bevande. Il cameriere: eh no, qui fa molto freddo! Sì, molto, ho replicato. La sera prima sui titoli del TG3 Campania: “Pioggia e gelo”. In voce: “Consigli utili per evitare il congelamento delle tubature”. In albergo è scoppiata, all’unisono, una fragorosa risata. Il mattino dopo, sul Golfo, splendeva una giornata meravigliosa. Alle 12 spuntino all’aperto con solo il maglione addosso. Non dico poi del cielo e del mare. Da noi, la sera, al ritorno, abbiamo trovato 15 cm di neve. A me piace o’ presepe!

giovedì 21 dicembre 2017

Il bivio


Nelle vicende del riformismo socialdemocratico e nelle esperienze di comunismo del XX secolo possiamo cogliere il fallimento degli scenari previsti dalla teoria?

Per quanto riguarda il riformismo, quale espressione politica, e il revisionismo, quale suo fondamento teorico, alla luce dei fatti, la risposta al quesito non può che essere affermativa. L’ipotesi di riformabilità del sistema capitalistico, la sua capacità di auto emendarsi, era già contraddetta prima del grande conflitto europeo, e, nel secondo dopoguerra, ha retto con successo solo per il ciclo dei “ruggenti trenta”, consentendo alle classi sfruttate dell’Occidente di ottenere diverse concessioni migliorative (*).

Del resto, il revisionismo di matrice socialdemocratica attaccava scientemente i postulati del marxismo per trasformare i partiti socialisti in un movimento democratico alleato della borghesia. Una forma di opportunismo mascherato da realismo politico che pur non negando le contraddizioni del capitalismo sosteneva di volerle smussare, e gradualmente instaurare il socialismo puntando sulle riforme. Oggi nemmeno di ciò si discute e il sistema borghese è ritenuto senza alternativa possibile.

mercoledì 20 dicembre 2017

L'intervista di Lenin



Fatti abbastanza prevedibili non di rado si accompagnano con vicende che solo poco tempo prima sarebbero apparse quasi impossibili o addirittura assurde.

Il 13 luglio 1789, il marito della contessa Yolande de Polastron, durante una partita a faraone, rivelò a sua maestà Luigi XVI che a breve sarebbe scoppiata a Parigi e poi in tutta la Francia la rivoluzione. Luigi rise e bevve una coppa di sciampagna. Il cortigiano, imprudente, vaticinò: vostra maestà, fra tre anni e mezzo sarete decapitato sulla ghigliottina, la vostra testa cadrà nella cesta, il boia la prenderà per i capelli e la mostrerà alla folla riunita in Place de la Concorde. Il re non gradì, ma terminò la partita a faraone. Quello stesso giorno il loquace profeta fu rinchiuso alla Bastiglia. Il giorno seguente, fu tra i sette prigionieri liberati dagli insorti.

La contessa de Polastron, intimissima di Maria Antonietta, risuscì a salvare la propria testa dalla ghigliottina fuggendo da Parigi travestendosi da cameriera. Un suo bis-bisnipote, era il padre di Ranieri III, Principe di Monaco.

*

Lenin, nel 1917, convoca le elezioni per la Costituente ma nel gennaio 1918 soglie l’Assemblea appena eletta. Incontrandosi con un esponente menscevico, questi gli rinfacciò la decisione, dicendogli: “Vladimir Ilich, non passerà molto tempo che dovrete ammettere il fallimento della vostra strategia”. Lenin, sprezzante e tagliente replicò: “Voi menscevichi non siete solo nostri oppositori, ma vi ponete oggettivamente dalla parte dei controrivoluzionari. Non volete comprendere che siamo a un tornante della storia, che il capitalismo è finito, che la rivoluzione si propagherà nei paesi europei ed infine diventerà un fatto mondiale”.

Nel marzo dell’anno successivo, Lenin, nel corso di un’intervista a due giornalisti americani ebbe tra l’altro a dichiarare: “Io faccio in questo momento una esperienza di comunismo. Essa è riuscita parzialmente, ma in molti punti è fallita. Davanti a questi fatti io non intendo far violenza ai fatti”.

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lunedì 18 dicembre 2017

L'imperatore di cartapesta



È questione marginale nel marasma ideologico e morale vigente e montante, però qualche parola va spesa, soprattutto a beneficio eventuale (molto eventuale) di qualche giovane che non avesse ben chiare le cose accadute in un passato i cui rigurgiti vengono ad ammorbare il presente e minacciano il futuro più di quanto si creda, magari con la scusa del recupero di quanto di positivo fu realizzato durante la dittatura fascista. Mi riferisco, nello specifico, ai resti dell’ex monarca fatti rientrare in Italia con tanto di volo aereo militare (cioè a mie/nostre spese).

Non era colpa sua la microsomia e la bruttezza, tanto che dovette accontentarsi di essere maritato con una ragazzotta del Montenegro poiché nessuna principessa in Europa lo avrebbe voluto in sposo. Sua invece la responsabilità, direttissima, nel colpo di Stato che portò il parlamento, nel 1915, inizialmente contrario all’intervento bellico, a votare infine a favore della guerra. Fu poi uno degli artefici attivi dell’avvento del fascismo, del quale poi avvallò e firmò tutte le porcate, dalle leggi fascistissime, ai tribunali speciali, ecc.. Sapeva dei massacri di Graziani in Libia, autorizzò la guerra etiopica (con uso di gas e massacri vari), firmò le leggi razziali, avvallò l’alleanza con i nazisti, l’annessione dell’Albania, la guerra alla Grecia, la guerra a fianco dei nazisti con l’aggressione alla Francia, alla Grecia, alla Russia, la dichiarazione di guerra agli Usa !!, eccetera. Senza contare quanto successe subito prima e dopo l’8 settembre 1943. Diede anche in sposa a un alto gerarca nazista (della prima ora e della prima cerchia hitleriana) la figlia Mafalda.

Un pusillanime, un criminale nel senso pieno del termine. Rammento anche, nonostante questi e altri crimini dell’ex monarca, che quasi 11 milioni di italiani votarono per il mantenimento della monarchia, e che il primo presidente della repubblica fu un monarchico. E ciò la dice lunga sull’atteggiamento patologico delle classi dirigenti verso il fascismo, soprattutto di una certa parte dell’Italia, sull’ignoranza in cui erano state tenute le classi subalterne, sul fatto che il fascismo strisciante, sempre presente nella storia repubblicana, stia rialzando la testa, complice la nonchalance di troppi antifascisti a chiacchiere. Complici anche certe trasmissioni televisive che quotidianamente su Rai Storia (ma non solo) alimentano – in nome dell’obiettività di parte di un ex allievo di De Felice e a sua volta maestro nella concatenazione di frasi ipotetiche e asserzioni indimostrate – un’idea distorta di cosa fu effettivamente il fascismo nella sua realtà storica.


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Meglio dunque chiederci una volta di più che cosa ha significato per l’Europa e il mondo intero l’imperialismo e la crisi del capitalismo nei primi decenni del Novecento.

domenica 17 dicembre 2017

Arbeit macht frei

A Walter, in ricordo



Venite, giovani virgulti, a lavorare in fabbrica. Il lavoro in fabbrica non è schiavitù, non è sfruttamento. Ve lo dice Dario Di Vico, che di mestiere non fa l’operaio, ma il giornalista. Ha studiato sociologia lui, e queste cose le sa per certe. La fabbrica non è più quella di una volta, non si muore più di Pvc o di asbesto, e bisogna avere una gran sfiga per finire bruciati alla Thyssen. Quanto ai padroni, esistono ancora, ma ora si servono dei cosiddetti chief executive officer, all’americana. I quali guadagnano in un anno esattamente quanto un operaio. Quanto un salario operaio di tutta una vita, però.


mercoledì 13 dicembre 2017

La società del letargo



Ieri sera ascoltavo, in successione, il soliloquio di due tirapiedi di quella vasta pletora che ci delizia quotidianamente dagli schermi televisivi. Quelli che passano la vita a inculare la gente promettendo più vaselina. Dei miserabili che non hanno mai avuto l’onestà di vuotare il secco per davvero. Parlano soprattutto dei cazzi loro, ma per motivi di share (l’umiliazione sociale alza gli ascolti televisivi e dunque introiti e dividendi pubblicitari) anche di pensioni, di Europa, di lavoro.

Personaggi che hanno passato la vita in politica o a dirigere il lavoro degli altri, che dunque hanno già guadagnato dieci o cento volte tanto quanto i comuni mortali. Gente che non ha bisogno, proprio per aver guadagnato tanto, di una pensione (ma guai a chi gliela tocca!). Citano l’Europa, ma non ci dicono realmente da chi è governata (la tv ci mostra i fantasmi di Bruxelles), ossia dalla burocrazia finanziaria internazionale che resta occulta. Parlano di lavoro, incidentalmente, senza dire nulla che valga qualcosa.

Questi ventriloqui del capitale, spacciatori d’illusioni, possono dire che il lavoro non può più essere il mezzo per estorcere profitti ad appannaggio di rentier e speculatori di ogni risma? Che la condizione del lavoro dev’essere la misura del grado di civiltà di una società? Certo che no. E sanno bene a quali livelli di sfruttamento e assenza di tutele è precipitata tale condizione in nome e per conto della realtà mercantile.


Quali possibilità di vita e di lavoro avrà in prospettiva un bambino che nasca oggi in una famiglia proletaria (e non solo proletaria), data la struttura economica e l’organizzazione sociale capitalistica? Queste merde televisive sanno ciò che è noto per esperienza a ogni capitalista, ossia che la disoccupazione alza gli utili. Questo è il loro mondo, la società che difendono allo spasimo, favoriti dal letargo di chi si è rassegnato.

mercoledì 6 dicembre 2017

Sfruttiamo il canone



Ancora oggi, come in altre epoche, circa il 90% delle merci raggiunge destinazione per vie d’acqua. In questo momento ci sono circa 20 milioni di container in viaggio, ed è stato calcolato che ogni anno se ne perdono almeno 10 mila in mare. Le navi usano combustibili di scarto, che costano molto meno e però inquinano tantissimo. Solo le prime 20 grandi navi (sono lunghe 400 metri, hanno una capacità di trasporto di 18 mila container) inquinano come il parco auto dell’intero pianeta. Le navi in navigazione sono decine di migliaia. Ogni tre giorni si registra mediamente un naufragio.

Queste e altre notizie nell’interessantissimo docu-thriller The Real Price of Shipping, del regista francese Denis Delestrac, pluripremiato per questo e numerosi altri lavori consimili. Il film sarà trasmesso sabato prossimo, ore 21.05, su Rai Storia (canale 54) con il titolo: Cargo - La vita nascosta della globalizzazione. Perciò, se avete già preso impegni per l’Andrea Chénier, potete fottervene e assistere a qualcosa per cui vale la pena trascorrere la serata. Già tutto pagato. Oltretutto eviterete in tal modo d'incontrare brutta gente. 

venerdì 1 dicembre 2017

Quotidiane ipocrisie



Dopo il crollo, avvenuto ben prima del famoso Muro, delle illusioni sui cosiddetti socialismi e comunismi, è la volta della socialdemocrazia, del riformismo, ad entrare in crisi profonda. Per il motivo fondamentale che non solo non ha voluto, saputo e potuto opporsi a ciò che va sotto i termini di neoliberismo, globalizzazione, mercato, eccetera, ma anzi se n’è fatto interprete ed esecutore sin nei dettagli, tanto che nulla più lo distingue realmente da tutto il resto.

E quando si riducono milioni di persone allo stato di povertà e precarietà, non deve stupire che tale situazione prepari rivalse che via via diventano sempre più feroci. E, del resto, di che cosa ci dobbiamo stupire ancora dopo che la destra neofascista è stata sdoganata da lunga pezza, dopo che l’ex segretario della gioventù neofascista e poi segretario del partito neofascista italiano è diventato vicepremier e ministro degli Esteri, poi assiso alla carica di presidente della camera dei deputati, ed il suo nome è stato nel novero dei potenziali candidati alla presidenza del consiglio dei ministri?

Di che cosa stupirsi quando si sono diverse vie intitolate al repubblichino ed ex segretario del partito neofascista Almirante? Quando vi sono vie e perfino una piazza intestate a Italo Balbo, che non è stato solo un “trasvolatore”, bensì squadrista della prima ora e quadrumviro del Partito nazionale fascista? E vi sono ancora delle vie intitolate al criminale di guerra Rodolfo Graziani, e ad altri gerarchi e criminali fascisti. E a Mussolini stesso!

A proposito, che fine ha fatto la proposta di legge d’introduzione dell'articolo 293-bis del Codice penale? In settembre è stata approvata dalla Camera e poi è passata al Senato. Renzi Matteo e Gentiloni Paolo saprebbero dire qualcosa al riguardo? E il M5S sta incalzando governo e parlamento perché la legge venga finalmente e definitivamente approvata? E il presidente del Senato che cosa ha da dire al riguardo? E tutti gli altri, gli indifferenti?


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giovedì 30 novembre 2017

L’illusione di poter scegliere



Decine di tipologie di contratti, lavoro precario e salari di fame. Come si fa a mettere al mondo figli in simili condizioni?

Lavoro stabile e salari decenti, condizione primaria perché la natalità aumenti. Ma ciò è incompatibile con un sistema economico la cui essenza è la produzione basata sullo sfruttamento e sul pressante invito a consumare.


Tutto va allo sfascio mentre si è gonfiato a dimensioni planetarie un sistema tecnicamente programmato per convincerci a rinunciare a tutto ciò che è veramente essenziale in cambio dell’illusione di poter scegliere liberamente.

martedì 28 novembre 2017

Fake news, soprattutto con "distinzione"

Oggi su la Bugiarda Recalcati invita “la sinistra” a rileggere … Turati! Non si tratta in senso stretto di una fake news, e del resto c’è da chiedersi se esista qualcosa di più "fake" dei psicoanalisti. Tuttavia questo è uno dei tanti sintomi, piccoli e grandi, di tempi a nostro modo difficili, in attesa di quelli drammatici.

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Tutti sanno (almeno in altri tempi era così) che Marx è l’autore de Il Capitale. Molti (in senso relativo) sostengono pure di averla “letta” quest’opera di Marx. O magari anche solo sfogliata, che già sarebbe qualcosa. Pochi (in senso assoluto) hanno qualche reale cognizione sul Capitale di Marx. Non è raro, invece, d’imbattersi in saggisti, giornalisti, politici, blogger e affabulatori vari che, citando Marx e il Capitale, asseriscono le cose più invereconde, e sempre la loro fonte è il sentito dire, cioè l’aver letto o ascoltato puttanate panzane, le quali rappresentano la merce di maggior scambio e più a buon mercato.

Due esempi tra i tanti di fake news sul tema. Nei convegni e nei salotti (così come nei manuali, ecc.) quando succede di citare Marx, non manca il riferimento alla sua “teoria del valore-lavoro”. Sta di fatto che per Marx “il punto di partenza così come il punto d’arrivo” della sua indagine scientifica non è né il valore, né il valore di scambio, né il lavoro, bensì il capitale, e dunque l’esame in tutti i suoi aspetti della “merce singola come forma elementare” della ricchezza della società in cui domina il modo di produzione capitalistico.

E, soprattutto, Marx non ha mai usato l’espressione “valore-lavoro”, coniata invece da un suo critico borghese, ossia da Eugen Ritter von Böhm-Bawerk. A un livello più basso, diciamo delle osterie di un tempo e ora nei cosiddetti social, pare che Marx sia stato il teorico del “comunismo” (e dunque, secondo tale vulgata, indiretto responsabile dei “gulag”), del quale sembra abbia scritto in lungo e in largo nelle sue opere. E tuttavia, Marx è uno degli autori “marxisti” che meno ha scritto sul tema del comunismo. Per esempio, ne Il Capitale del “comunismo” non si parla e il termine ne non vi compare mai. Una sola vota si legge “società comunista”, ma senza alcun’altra specificazione.

Per completezza segnalo quanto si trova in Wikipedia a tale riguardo: “La teoria marxiana del valore-lavoro prende come base la teoria classica, ma vi apporta alcune modifiche”. Lo stesso che dire: la teoria copernicana apporta alcune modifiche a quella tolemaica. Ma ciò che segue è davvero esilarante: “Inoltre Marx recupera la distinzione fisiocratica fra lavoro produttivo ed improduttivo, per arrivare alla distinzione fra sovrappiù (plusvalore) e sfruttamento”. E dunque ringraziamo la scuola fisiocratica e soprattutto la “distinzione” con cui vengono spacciate perline colorate (**).

(*) La vicenda redazionale ed editoriale de Il Capitale. Per la critica dell’economia politica (questo il titolo integrale), è a dir poco complessa, e per sommi capi l’ho recentemente riassunta in un post.

(**) «Dalla concezione dei fisiocratici, i quali concepiscono il profitto (interesse compreso) semplicemente come un reddito destinato ad essere consumato dal capitalista, deriva anche l’opinione di A. Smith e dei suoi successori, che l’accumulazione del capitale sia dovuta alle privazioni personali, al risparmio e all’astinenza del capitalista. Essi possono fare questa affermazione perché considerano la rendita fondiaria come l’unica fonte vera, economica, per così dire legittima dell’accumulazione» (Teorie sul plusvalore, I, MEOC, XXXIV, pp. 30-31).

lunedì 27 novembre 2017

Sconvolgimenti epocali sotto ogni aspetto della materia sociale


Se non fosse per l’immiserimento intellettuale crescente, ossia per la repressione del libero sviluppo intellettuale in cui sono ridotte oggi tutte le classi subalterne al grande capitale, con il controllo e il trasferimento ad esso del monopolio di ogni sapere così come di ogni potere, le cose potrebbero andare per un altro verso se non altro nel dibattito pubblico.

La platea d’ascolto è sempre più ridotta in ogni ambito sociale su certe questioni, scansate perché ritenute noiose, accademiche, autoreferenziali per chi le propone e discute. L’ordine del giorno del dibattito pubblico viene deciso a livelli sempre più alti e occulti. Da un singolo episodio, per esempio, partono campagne mediatiche che sembrano dover travolgere tutto e tutti su questioni che, a confronto di altre, sono ben marginali quando non rasentino il ridicolo.

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venerdì 24 novembre 2017

Tamburi di guerra



Il capitalismo sta attraversando un crollo politico storico, su questo non sussistono dubbi nemmeno tra gli analisti borghesi. Inoltre è palese il pericolo di una terza guerra mondiale. Tutti gli Stati, nessuno escluso, si stanno preparando rapidamente alla guerra, non escluso l’impiego massiccio delle armi nucleari. Il conflitto è radicato nella contraddizione tra il sistema degli stati nazionali e il carattere globale della produzione economica.

Due settimane fa, la NATO ha tenuto un vertice a Bruxelles per discutere la costruzione di basi navali e logistiche per il trasporto di truppe statunitensi attraverso l'Atlantico per il continente europeo allo scopo di combattere contro la Russia. Leggendo l'agenda del vertice, il settimanale tedesco Der Spiegel ha concluso, in parole povere: la NATO si sta preparando per una possibile guerra con la Russia.

Wolfgang Ischinger, presidente delle Conferenze sulla sicurezza di Monaco: «L'Europa deve muoversi perché la situazione della sicurezza si è deteriorata drammaticamente nel giro di pochi anni. L'ex partner Russia è diventato un nemico, nell'Europa orientale, nel Medio Oriente e nel Nord Africa ci sono condizioni politicamente ed economicamente instabili».

Da parte sua la Russia, con l’esercitazione Zapad dello scorso settembre, ha inteso rispondere alle minacce della NATO, le cui forze hanno circondando la Russia e spingono le loro truppe fino agli stessi confini della Russia.  Scopo dell’esercitazione Zapad è stato quello di testare se la Russia potrebbe sostenere la mobilitazione a tutto campo delle sue risorse economiche per la guerra nucleare su larga scala. Lo scenario dell'esercitazione simulava l’impiego delle forze nucleari strategiche con i loro vettori in risposta ad un attacco esterno.

Bella merda


Quella di Eugenio Scalfari, fondatore de la Bugiarda, non è stata un’uscita estemporanea, ma un chiaro messaggio. Tra parentesi: notata la vera novità del quotidiano? Ora per leggere certe cagate, come per esempio l'intervista di ieri al ministro Pietro Padoàn, ti devi abbonare. Bella merda. L’ex primo quotidiano d’Italia è sceso alle 183.116 vendute nel giugno 2017 dalle 223.356 di un anno prima. Un crollo di oltre il 18%. Bravo, Mariolino Pio.

La legge elettorale attuale prevede di continuare, in modo ancor più sfacciato, la grande inciuciata. Quanto agli “incontri” tra Fassino e i “dissidenti” si tratta solo di “ammuina”. E, pur avendo sulle scatole le dietrologie, non mi convince neppure la genuinità dell’annuncio di Alessandro Di Battista sulla sua rinuncia a ricandidarsi. Per parafrasare il rigattiere di Stratford-upon-Avon, ci sono più trame nella politica che cose in cielo e in terra.

martedì 21 novembre 2017

Il capitale è come il lupo: può perdere il pelo ma non cambiare la sua natura



Non è singolare e tantomeno inedito che i riformatori del capitalismo – i quali si rendono perfettamente conto della contraddizione tra lo sfrenato sviluppo della forza produttiva da un lato e dall’altro dell’accrescimento della ricchezza da parte di un’infima minoranza – puntino a domare la contraddizione con una diversa distribuzione del reddito rispetto al capitale, ossia prevalentemente attraverso le imposte e le millantate “patrimoniali”. Essi, in buona sostanza, fingono di vivere in un’altra realtà, cioè non hanno interesse a prendere atto che i rapporti di distribuzione non sono altro che i rapporti di produzione sub alia specie.

E ciò che vige per questo tipo di rapporti vale anche per tutto il resto. Per esempio per quanto riguarda lo sfruttamento della forza-lavoro. Proprio nel post precedente ho accennato a una questione che sembra non riguardare nessuno e che invece concerne direttamente la vita di ogni schiavo salariato. Mi riferisco al lavoro estorto, ossia al plusvalore, o valore aggiunto come lo chiamano gli acrobati della “scienza” borghese.

domenica 19 novembre 2017

Mistero fitto



Prendo a pretesto un paio di frasi da un post del blog Phastidio per chiarire come viene abitualmente trattato il concetto di produttività del lavoro e la categoria del cosiddetto “saggio di valore aggiunto”, ossia il saggio del plusvalore.

… la produttività del lavoro è il tasso di valore aggiunto alla produzione, che deriva ovviamente dal rapporto tra valore aggiunto ed ore di lavoro. Lo capisce chiunque che se il denominatore, cioè le ore di lavoro, aumenta, ma il numeratore resta uguale, il tasso di produttività non può far altro che diminuire ancora.

L’avverbio “ovviamente” è una forzatura. La prima proposizione potrebbe passare liscia se non fosse per un non "trascurabile dettaglio", laddove si presuppone per dimostrato ciò che si deve dimostrare. Chiedo: da dove risulta l’entità (la massa) del valore aggiunto che rapportata alle ore lavorate dovrebbe determinare il saggio del valore aggiunto stesso e da questo condurre a stabilire la famigerata “produttività del lavoro”?

Se non conosco uno degli elementi costitutivi del capitale anticipato, ossia il capitale variabile (salari), è impossibile determinare l’entità del valore aggiunto, alias del plusvalore, e conseguentemente non posso calcolare – prendendo per buono che ciò vada fatto in rapporto alle ore lavorate – il saggio del valore aggiunto (saggio del plusvalore). Allo stesso modo, se volessi, su tale base non potrei determinare né la massa né il saggio del profitto.

In termini colloquiali: se il capitalista non conosce l’entità dei salari pagati, ossia il prezzo della forza-lavoro acquistata, come cazzo può calcolare il suo “guadagno”, ossia valutare esattamente il valore aggiunto ex novo al suo capitale? Mistero fitto.  

Oltretutto, prendendo per buona la formulazione citata, con una battuta si potrebbe dire che un cercatore di diamanti (il loro reperimento costa in media molto tempo di lavoro) sia per forza di cose scarsamente produttivo.

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venerdì 17 novembre 2017

La sostanza è questa



Non c’è nulla da fare, l’inflazione resta al palo. E solo Dio sa quanto vi sia bisogno di qualche punto d’inflazione per erodere salari e pensioni a beneficio (anche) del debito pubblico.

La strada maestra per far aumentare l’inflazione (anche controvoglia) è sempre stata quella di stampare moneta (anche sotto forma di debito, ossia di titoli di stato). E anche in tal caso solo Draghi sa meglio di tutti quanta liquidità a tal fine viene giocata. Tuttavia tale liquidità resta prevalentemente nel circuito finanziario, e poco agisce sul credito e ancor meno sui consumi delle anime comuni.

Per aumentare questi ultimi, c’è, a sua volta, un’altra strada maestra, vale a dire quella della spesa “aggregata”, ottenuta aumentando la spesa pubblica. Dicono che con i debiti pubblici correnti si possa fare poco da questo lato. E allora non resta, almeno in via teorica, che aumentare i salari. Ne va di mezzo, come viene lamentato, la famosa competitività. Le merci diventano più care, calano i margini di profitto e tutto va a puttane.

Pertanto non resta che aumentare la famigerata produttività del lavoro. Si ottiene fondamentalmente in due modi: aumentando lo sfruttamento della forza-lavoro (in questo l’Italia è tra i paesi all’avanguardia della produttività, checché ne dicano le statistiche padronali) e/o investire nella famosa “innovazione”. C’è, a quest’ultimo riguardo, e parlando in generale, un piccolo dettaglio cui accennare di striscio: in rapporto agli investimenti, il tasso di profitto tende progressivamente a scendere invece di crescere. Si tratta di “cosuccia” di poco conto, mettiamola così.

Perché, per esempio, in Italia s’investe di meno in “innovazione” rispetto a paesi tipo la Germania? Al netto di considerazioni di carattere tipicamente locale, bisogna tener presente la “cosuccia” di cui sopra, e perciò la risposta diventa spontanea: perché si tratta, come nel caso della Germania, di paesi già forti sul mercato, ossia di paesi (e multinazionali) che possono erodere plusvalore altrui, e in tal modo far fronte in migliori condizioni alla caduta del saggio del profitto.

Esempio terra-terra: la Fiat non è certo un competitor (per usare questo brutto termine) della Volkswagen. Così come la vedo dura, lasciando a parte la matrigna Germania, dover competere con colossi tipo Apple, Samsung, Microsoft, tanto per citare i soliti noti. C’è concorrenza tra questi colossi, nella loro sfera produttiva, ma possono imporre prezzi che erodono plusvalore estorto in altre sfere produttive (anche attraverso l'elusione fiscale).

Spero di non aver volgarizzato troppo la complessità delle varie questioni tra loro connesse, tuttavia la sostanza è questa. Conclusione: non è l’euro, quale moneta di conto e di scambio, ad avere un volto e un ruolo cinico e soprattutto baro (si può discutere invece del suo uso "politico", ma ciò vale anche per il dollaro). Cinica è la realtà, quella del capitalismo monopolistico, ossia la cogenza di determinati rapporti di forza economici (e geopolitici).

giovedì 16 novembre 2017

Toghe rosse


Le solite "toghe rosse" hanno tolto il pane di bocca alla madre dei suoi figli.

Il recuperatore


Ieri sera ho seguito l’on. Pierluigi Bersani ospite della dott.ssa Dietlinde Gruber. Nessuno dei tre giornalisti presenti in studio – con reddito abbondantissimamente superiore alla media – mostrava di essere in contatto con la realtà, e ciò nonostante le suppliche dello stesso Bersani. Tentativo inutile ma del quale bisogna dargli atto.

L’on. Bersani, mesi addietro, sempre nella stessa trasmissione televisiva, ripeteva di essere un “liberale”. Ieri sera ha leggermente cambiato posizione, dichiarando di essere “socialdemocratico”. Piccoli spostamenti di orientamento, insignificanti per quanto riguarda la sostanza, e però la dicono lunga sul travaglio dell’uomo e del politico, sul difficile momento di chi per troppi anni ha ingoiato tanti rospi. Il suo tentativo, dichiarato, è quello di recuperare i voti finiti nel “bosco” dell’astensione. Eh già, l’astensione ormai gioca un ruolo attivo. Non solo in Italia.

La ricetta per recuperare voti presso chi non ne vuol più sapere di farsi prendere in giro è la solita: un po’ di questo e un po’ di quell’altro, sul piano del “lavoro” e del fisco. Se non è un recupero pieno dell’articolo 18 sia almeno un 17 e rotti, ripete da tempo Bersani. Magari facendo pagare un qualcosa in più a chi paga poco o nulla. Senza spingersi in proposte indecenti, per carità. Per esempio, mai una tassazione di livello tedesco o francese per le donazione e successioni. Non sarebbe la fine del mondo copiare la famosa “Europa” per quanto riguarda le imposte sulla rendita, tuttavia si guarderanno bene sia i socialdemocratici e sia i “produttori di vino” dal proporlo, ma soprattutto, si presentasse mai il caso concreto, dal farlo.


Intanto, ogni anno, dall’Italia parte per l’estero un numero di pensionati e di giovani pari alla popolazione di una media città. E vi posso assicurare che ci vuol coraggio per emigrare in Bulgaria, ma anche per andare a vivere in Inghilterra. E una bella faccia tosta per ignorare una tendenza in accelerazione.