giovedì 22 febbraio 2018

Il virus marxiano



Questo mattina su radiotre ho seguito il dibattito su (neo)fascismo e antifascismo. Anche interventi di buon senso, per carità, nei quali viene citata la distinzione tra il rigurgito odierno e il fascismo storico, e quindi la mancanza di “educazione alla democrazia”, il disagio sociale con accompagno di sfiducia nelle istituzioni, l’immigrazione e via di seguito. Si è udito anche un cenno – mero omaggio alla “complessità” del tema – alla “crisi” e all’incapacità di risposta da parte della politica e delle istituzioni. La parola “capitalismo”, al solito, è bandita. Come se la crisi e ciò che ne consegue fosse causa di un virus proveniente da Marte e del quale non è creanza parlare in pubblico e in termini espliciti.

È nota a tutti l’ouverture de Il diciotto brumaio di Luigi Bonaparte, nella quale Marx, si richiama a un passo di Hegel, laddove il filosofo di Schdùagert osservava che tutti i grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire, due volte. Marx chiosa che Hegel aveva dimenticato di aggiungere che la prima volta si presentano come tragedia, la seconda volta come farsa. Nel caso del fascismo si potrebbe, alla luce dei fatti, sostenere che la farsa del nuovo impero mutava ben presto in disfatta e immane tragedia.

La borghesia ha sempre buon gioco nel cambiare nome e forma alla propria dittatura (*). Con ciò non voglio sostenere che le libertà nella società democratica borghese siano da disprezzare, tutt’altro. Esse sono da tenere in massima considerazione, tuttavia non va trascurata l’effettualità dei rapporti sociali, e anzitutto il rapporto di proprietà del capitale sulla forza-lavoro, che si distingue solo per la forma da altre più dirette forme di asservimento del lavoratore. Una forma prodotta sempre di nuovo e che prescinde da quale sia lo statuto giuridico e politico-sociale di riferimento.

Infatti sbaglia chi, alla luce della Costituzione, pretenda di caratterizzare tale rapporto sussumendo lavoratore e capitalista in un rapporto di parità, facendo in tal modo l’apologia di un’uguaglianza solo fittizia e dissolvendo la differenza specifica.

(*) Dopo la rivoluzione del luglio 1830, il banchiere liberale Laffitte si lascia sfuggire: “D'ora innanzi regneranno i banchieri”. Sta accompagnando il suo compare, il duca di Orléans, cioè Luigi Filippo, in trionfo all'Hôtel de Ville, centro del movimento repubblicano. Durante tale visita, Luigi Filippo s'impegnò a rispettare i diritti costituzionali e, col tricolore in mano, si affacciò alla finestra insieme al veterano della Rivoluzione francese Lafayette, che lo abbracciò presentandolo al popolo come "re cittadino" e definendo il suo regno la migliore delle repubbliche!

Nel 1847 Parigi insorge contro la monarchia di Luigi Filippo, il quale difenderà “la migliore delle repubbliche” fucilando migliaia di operai. L’insurrezione si trasforma in rivoluzione e finalmente, nel febbraio 1848, è proclamata la seconda repubblica. I francesi per la prima volta possono votare, ed eleggono presidente il nipote di Napoleone. Il quale, ironia della storia, si chiama come i monarchi dell’ancien régime: Carlo Luigi. Con un colpo di Stato, si fa incoronare imperatore. Addio repubblica e suffragio universale. A comandare, comunque e sempre, è la borghesia, qualunque sia la frazione vincente.


2 commenti:

  1. Il fascismo è l'Essenza del capitalismo.

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    1. no, in senso astratto è proprio la democrazia borghese. la quale però in momenti di crisi si ribalta, mantenendo le medesime premesse, in fascismo

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